Nonostante le numerose crisi umanitarie degli ultimi anni, l’atteggiamento degli europei nei confronti di rifugiati e richiedenti asilo non è cambiato sensibilmente. Restano alcuni pregiudizi e timori verso certi gruppi o caratteristiche, ma in generale non sembra che il clima di ostilità che traspare dalla politica di diversi paesi sia anche l’atteggiamento prevalente tra la popolazione.

Sono queste almeno le conclusioni di una ricerca pubblicata su Nature il 9 agosto. I ricercatori, spiega la rivista, avevano già condotto un’indagine sugli atteggiamenti degli europei nei confronti dei richiedenti asilo nel 2016, durante la crisi dei rifugiati siriani. Alla luce dell’ulteriore ondata di richiedenti asilo scaturita dall’aggressione militare all’Ucraina da parte della Russia, i ricercatori volevano valutare se l’afflusso di rifugiati con maggiori somiglianze culturali con le comunità ospitanti avesse cambiato la disponibilità all’accoglienza.

All’inizio della crisi dei rifugiati in Ucraina nel 2022, infatti, molti critici hanno notato che i politici europei e le politiche di asilo sembravano trattare i rifugiati ucraini in modo più favorevole rispetto alle persone in fuga da Siria e Afghanistan.

L’Unione europea ha inoltre attivato per la prima volta il regime di “protezione temporanea” nel febbraio 2022, dando ai rifugiati ucraini la possibilità di vivere, lavorare e frequentare la scuola nell’UE senza attendere l’approvazione della richiesta di asilo. I critici si sono chiesti perché non siano stati concessi gli stessi diritti ai rifugiati provenienti da altri paesi, come quelli dell’Africa e del Medio Oriente.

Ai fini della ricerca, nel 2016 erano state intervistate 18 mila persone in 15 paesi, mentre nel 2022 sono state 15 mila negli stessi paesi. Ai partecipanti sono state presentate coppie di profili di rifugiati generate in modo casuale, che differivano per caratteristiche come età, religione, sesso, occupazione e motivo della migrazione. I partecipanti hanno valutato quanto sarebbero stati favorevoli a permettere a ciascun rifugiato di rimanere nel proprio paese, scegliendone uno solo per coppia.

In entrambi gli anni, i partecipanti erano più propensi a favorire i rifugiati più giovani rispetto a quelli più anziani, le donne rispetto agli uomini e i cristiani rispetto agli agnostici e ai musulmani. Tra le caratteristiche meno favorite c’erano l’essere musulmani, il trasferirsi per questioni economiche e la mancanza di conoscenze linguistiche del paese ospitante.

Secondo gli autori dello studio, i risultati di ricerche come questa dovrebbero essere usati per informare le politiche pubbliche sulla gestione del fenomeno migratorio e in particolare delle richieste di asilo. I critici sostengono però che ci sia una differenza sostanziale tra sondaggi come questi, incentrati sulla percezione personale dei migranti, e gli orientamenti nazionali verso il numero di migranti che entrano in un paese, che sono più rilevanti per le decisioni politiche.

Un altro aspetto importante è che questo tipo di studi non coinvolge mai i diretti interessati, ossia rifugiati e richiedenti asilo. Questo non sarebbe stato possibile nello studio in questione, data la metodologia adottata, ma resta il fatto che rispondere a un sondaggio esprimendo in astratto la propria disponibilità è altro rispetto alla prassi della convivenza quotidiana. Michelle Pace, che studia le migrazioni forzate in un’università danese, sottolinea per esempio che l’atteggiamento generale di sostegno che emerge da questi risultati non si riflette nelle esperienze dei rifugiati con cui lavora in Danimarca.

(Foto di Maria Teneva su Unsplash)

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