Ricorderete tutti la tenera lettera di Umberto Eco, indirizzata tre anni fa al nipotino durante il periodo natalizio. Il semiologo si preoccupava sostanzialmente di una cosa: del fatto che suo nipote (e per estensione tutti i giovani) esercitasse a sufficienza la memoria. Torniamo a quel testo perché quel consiglio si dimostra ogni giorno più attuale. Del resto uno dei principi basilari per mandare a memoria qualcosa è la ripetizione, dunque se anche di seguito troverete cose che avete già letto, si tratta di un utile esercizio di ripasso.
Battute a parte, è importante fermarsi un momento a riflettere sull’importanza del “mandare a memoria”, soprattutto perché viviamo in un mondo in cui questa è sempre più esternalizzata in dispositivi tecnologici connessi a grandi spazi virtuali. Unità di storage remote alle quali possiamo sempre accedere (a patto di essere connessi a Internet), per consegnare loro i nostri ricordi (foto, video, messaggi, appunti) e per cercare le informazioni che ci servono in quel momento. Informazioni che, svolta la loro funzione, saranno presto dimenticate: restituite alla loro perpetua reperibilità, ma perse per sempre dalla nostra mente. «La memoria è un muscolo come quelli delle gambe, se non lo eserciti si avvizzisce e tu diventi (dal punto di vista mentale) diversamente abile e cioè (parliamoci chiaro) un idiota – scriveva Eco –. E inoltre, siccome per tutti c’è il rischio che quando si diventa vecchi ci venga l’Alzheimer, uno dei modi di evitare questo spiacevole incidente è di esercitare sempre la memoria». Da qui il consiglio di tenerla in costante allenamento, imparando poesie o altre cose (fatti storici e loro date per esempio) in grado di nutrire il nostro cervello, oltre che esercitarne la capacità di ritenere informazioni.
C’è poi un particolare tipo di memoria, quella storica, che a maggior ragione ha bisogno di essere costantemente allenata e nutrita, perché ci serve a capire il mondo in cui viviamo. Si può essere d’accordo con Cicerone sulla «Historia magistra vitae», o con Montale quando dice che «La storia non è magistra / di niente che ci riguardi». Forse la storia non insegna propriamente a vivere, ma di sicuro è un’arma a disposizione del cittadino per interpretare la realtà in maniera più consapevole. Spesso il ruolo dei media (social e non) sembra essere di aiuto alla devastante ruspa dell’oblio. Con la continua esposizione a nuove informazioni alla quale siamo sottoposti, la nostra attenzione è continuamente catturata da fatti e fatterelli di scarsa o nessuna importanza. Ma le nostre risorse cerebrali sono limitate, dunque (anche per come vengono proposte le notizie) ogni giorno sembra di vivere eventi unici e irripetibili. Ogni cosa è sensazionale, non perché nuova ma perché ci siamo dimenticati che sia già successa. Questo perché frastornati e distratti dalla quantità di nuove informazioni che ogni giorno ci vengono proposte.
Il sistema scolastico ha le sue responsabilità: quante volte ci viene spiegato come e perché studiare certe cose? L’esperienza scolastica, mediamente, è basata su una serie di contenuti da imparare e sui quali avvengono verifiche periodiche. Alcuni hanno la fortuna di incontrare sulla propria strada insegnanti illuminati, che arrivano a fare ragionare gli studenti sul come e sul perché. Ma non è certo tra le priorità ministeriali, tutte incentrate sul “programma” da coprire. Una piccola digressione finale: il tema delle tecniche di memorizzazione nei giorni nostri è confinato agli scaffali sul self-help e simili nelle librerie. Negli ultimi decenni c’è stato un proliferare di tecniche di memorizzazione che sono sfociate in libri, metodi, corsi, non sempre del tutto attendibili e professionali (talvolta si tratta di truffe vere e proprie). In realtà, vi sono tecniche antichissime per sfruttare in maniera mirata le capacità della mente di memorizzare. Il primo testo in tal senso risale addirittura (circa) al 90 a.C. Si tratta del “Rhetorica ad Herennium”, attribuito a Cicerone (ma c’è incertezza al riguardo), che in una parte si occupa proprio di illustrare tecniche di memorizzazione a uso del retore, affinché possa mandare a memoria facilmente i propri discorsi e richiamarli anche dopo molto tempo.
C’è anche un libro molto più recente, quello di Joshua Foer intitolato “L’arte di ricordare tutto” (in inglese il titolo è molto più accattivante: “Moonwalking with Einstein”), che ripercorre la storia delle tecniche di memorizzazione attraverso l’esperienza dell’autore. Si tratta di una lettura molto piacevole, arricchita di aneddoti bizzarri sugli attuali contesti in cui l’arte della mnemotecnica è più sviluppata: i campionati di memorizzazione. Ebbene sì, un tempo ammiravamo l’erudizione degli studiosi del medioevo, che prima dell’invenzione di Gutenberg erano costretti a imparare a memoria interi libri. Oggi che tutto si può delegare a un supporto esterno, coloro che padroneggiano (e innovano) le antiche tecniche della memoria si sfidano in curiose prove di abilità nella memorizzazione di sequenze casuali di numeri o di interi mazzi di carte da gioco. Quand’è che la tecnica si è staccata completamente dalla sua funzione? Sarebbe bello saperlo, ma chi se lo ricorda?
Fonte foto: Wikimedia Commons