Alcuni giorni fa scrivevamo di un importante accordo internazionale sull’inquinamento da plastica da parte delle delegazioni Onu. Vediamo meglio cosa prevede l’impegno firmato dai 193 paesi e quali sono le priorità indicate dagli scienziati, grazie a un editoriale pubblicato su Nature.

Innanzitutto un po’ di contesto per capire le dimensioni del problema. Ogni anno, spiega Nature, si producono circa 400 milioni di tonnellate di plastica, una cifra che potrebbe raddoppiare entro il 2040. Di tutta la plastica prodotta, solo il 9 per cento circa è stata riciclata e il 12 per cento incenerita. Quasi tutti gli altri rifiuti in plastica sono finiti nell’oceano o in enormi discariche. Più del 90 per cento della plastica è prodotta da combustibili fossili. Se non si pongono maggiori limiti e controlli, la previsione è che la produzione e lo smaltimento della plastica saranno responsabili del 15 per cento delle emissioni di carbonio consentite entro il 2050, fermo restando l’obiettivo di limitare l’aumento delle temperature a 1,5 gradi centigradi sopra quelle del periodo preindustriale.

I colloqui dovrebbero durare tra i due e i tre anni. Una caratteristica significativa del trattato è che sarà legalmente vincolante, come lo erano l’accordo sul clima di Parigi del 2015 e il protocollo di Montréal, un trattato del 1987 che ha portato alla graduale eliminazione delle sostanze che riducono lo strato di ozono.

Il team di negoziatori, provenienti da diverse aree del mondo, è in via di costituzione ed entro la fine di maggio inizierà a lavorare sul testo. Secondo quanto deciso dall’Onu, i negoziatori valuteranno «la possibilità di un meccanismo per fornire informazioni scientifiche e socio-economiche rilevanti per la politica e la valutazione relativa all’inquinamento da plastica». Ma, secondo l’editoriale, dovranno fare ben più di questo. «L’Onu – scrive Nature – deve urgentemente istituire un gruppo di scienziati che possa consigliare i negoziatori e rispondere alle loro domande. Tali consulenti scientifici dovrebbero avere competenze nelle scienze naturali e sociali, così come nell’ingegneria, e rappresentare diverse regioni del mondo».

Il trattato sulla plastica punta a essere più ambizioso della maggior parte degli accordi ambientali esistenti. A differenza del Protocollo di Montreal, che ha sostituito circa 100 sostanze nocive per l’ozono con alternative non impattanti, il trattato Onu dovrà assicurare la sostenibilità dell'”intero ciclo di vita” dei materiali inquinanti. Questo significa che la produzione della plastica dovrà diventare un processo a impatto zero, così come il suo ricico e smaltimento. Non si tratta di obiettivi semplici, scrive Nature, ed è per questo che la ricerca – e l’accesso alla ricerca – è così importante durante i negoziati.

«Attualmente – si legge nell’editoriale – la maggior parte delle materie plastiche sono progettate secondo un processo “lineare” a senso unico: piccole molecole a base di carbonio sono intrecciate con legami chimici per creare lunghe molecole polimeriche reticolate. Questi legami sono difficili da rompere, il che rende la plastica estremamente duratura e difficile da riciclare».

L’inquinamento da plastica è ovunque, non solo nei mari. Discariche che contengono montagne di plastica devastano il nostro pianeta, e minuscole particelle di plastica si trovano anche negli ambienti più incontaminati, tanto che stanno entrando anche nel registro fossile. Si parla inoltre di un nuovo ecosistema creato dall’uomo, la “plastisfera”, che ospita microrganismi e alghe.

Mentre i negoziatori sono al lavoro, avranno bisogno di scienziati che li aiutino ad affrontare diverse domande chiave: quali tipi di plastica possono essere riciclati? quali plastiche possono essere progettate per essere biodegradabili, e in quali condizioni? quali plastiche offrono le migliori possibilità di riutilizzo? La ricerca delle scienze sociali sarà essenziale per capire le implicazioni delle possibili opzioni. Per esempio, le nuove tecnologie e i nuovi processi avranno un impatto sui posti di lavoro, che dovrà essere in qualche modo mitigato.

«Non è sufficiente che un trattato sia legalmente vincolante – conclude Nature –. I firmatari devono anche essere ritenuti responsabili, con relazioni regolari e controlli sui progressi. Altrettanto importante è la necessità che la consulenza scientifica sia inclusa nei colloqui fin dall’inizio. La decisione del 2 marzo è il miglior inizio che si potesse sperare per affrontare la nostra dipendenza dalla plastica. Ma mentre inizia il lavoro, i decisori devono potere accedere rapidamente e facilmente alle migliori conoscenze scientifiche che la ricerca può offrire».

(Foto di Ilyass SEDDOUG su Unsplash)

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