Non passa governo (e in Italia ne passano molti) che non si prenda l’impegno di approvare le riforme necessarie all’Italia per somigliare un po’ di più al Paese che potremmo essere. Ma quali sono, queste riforme? Alcune idee ce le danno due articoli pubblicati su Lavoce.info, vediamo di che si tratta.
Fisco, produttività, elasticità
Il punto su cui c’è più scontro politico, e che spesso appassiona anche la società civile, è la riforma fiscale. C’è chi punta ad abbassare le tasse, chi pone l’accento sul fatto di limitare l’evasione e migliorare la riscossione. Secondo l’economista Ugo Colombrino, il motivo per cui ci si sofferma spesso su questa riforma prima che su altre è molto semplice: costa meno. Intendiamoci: i motivi per invocare una riforma fiscale non mancano, come riconosce lo stesso Colombrino: «Il fisco italiano è inutilmente complicato, non fornisce incentivi virtuosi e non tutela in modo efficiente le famiglie a basso reddito». Il modello elaborato dall’economista analizza l’effetto che avrebbero delle riforme che considerassero non solo il fisco, ma anche la produttività e l’elasticità (ossia «la capacità del sistema economico di rispondere agli incentivi creando lavoro e reddito»).
Limitandosi alle imposte sul reddito personale, «Il sistema che emerge come ottimale è caratterizzato da un reddito di base universale e incondizionato e da un profilo delle aliquote marginali piuttosto piatto […]. È un sistema semplice e trasparente, più adeguato di quello attuale, anche se è possibile immaginare sistemi ancora migliori o che rispondono a criteri di valutazione diversi […].
Quanto alla produttività, immaginiamo un aumento (permanente) del 10 per cento, con un conseguente analogo aumento dei salari. Anche se il problema riguarda forse la produttività di sistema, più che la produttività del lavoro, un miglioramento di quest’ultima si tradurrebbe anche in un aumento dei salari. L’aumento della produttività richiede di superare il “nanismo” della struttura industriale, diffondere la digitalizzazione, adeguare il sistema educativo sia alle nuove tecnologie sia alla universalità e flessibilità dei saperi, incentivare l’investimento in capitale umano e rafforzare la relazione tra incentivi e produttività».
Per quanto riguarda l’elasticità, il modello si limita a considerare quella della domanda di lavoro: «Una elasticità ridotta si traduce in una ridotta possibilità di aumento dell’occupazione. Al contrario, una elasticità elevata segnala che è possibile aumentare l’occupazione senza riduzioni significative del salario. L’elasticità di lungo periodo in Italia la si assume intorno all’1 per cento. Nelle simulazioni di pacchetti che comprendono l’aumento della elasticità, assumeremo invece che si possa arrivare a una elasticità perfetta – che cioè non implichi diminuzioni di salario – grazie a una riduzione dei costi fiscali, burocratici e organizzativi legati agli aumenti di occupazione. L’elasticità può crescere se migliorano le istituzioni che governano i mercati o altri aspetti del sistema fiscale e del sistema regolatorio».
Il modello propone diverse combinazioni di possibili riforme fiscali (F), sulla produttività (P) e l’elasticità (E) e restituisce alcuni risultati che sembrano confermare come l’impatto di F sia piuttosto limitato, se comparato con quello di P ed E: «È interessante confrontare gli effetti del pacchetto P+E e quelli del pacchetto F+P+E. Il primo porta a un aumento del 48 per cento del reddito disponibile. Con il pacchetto più impegnativo (F+P+E) l’aumento è del 49 per cento. La povertà diminuisce rispettivamente dell’82 e dell’85 per cento. In ogni caso, un “upgrade” che nel lungo periodo avvicina l’Italia alle economie europee di maggior successo. Probabilmente le riforme volte ad aumentare produttività ed elasticità meriterebbero un’attenzione almeno uguale quella che viene dedicata alla riforma del fisco. Quest’ultima costa poco, mentre le riforme P ed E sono costose».
Sistemare la contabilità
Un altro tema su cui da lungo tempo ci si scontra sono i sistemi di contabilità della pubblica amministrazione, che rallentano e danneggiano le politiche di redistribuzione delle risorse, oltre a “strozzare” l’economia a causa dei noti ritardi nei pagamenti. Un pezzo di Dario Immordino elenca una lunga serie di cause alla base di questa situazione: «Sopravvalutazione delle entrate, inefficienza nella loro riscossione, gestione disinvolta dei residui attivi, diffusione di prassi finalizzate ad aggirare le regole sulla copertura finanziaria delle spese, errori nell’accertamento delle poste contabili, frequente ricorso ai debiti fuori bilancio e le altre diffuse irregolarità contabili rendono difficile programmare e gestire le politiche finanziarie, causano l’insorgere di oneri ingenti a carico dei bilanci pubblici e costituiscono le principali cause dell’accumulo dei consistenti ritardi nei pagamenti da parte dei debiti delle pubbliche amministrazioni nei confronti delle aziende. […] Ma la qualità delle regole e della gestione contabile incide notevolmente anche sulle politiche economiche pubbliche e, in particolare, sulla capacità di approntare adeguate misure di sostegno al sistema di welfare e al mondo produttivo. Gli iter di approvazione dei piani di investimenti pubblici congelano risorse per svariati miliardi, gli errori nella programmazione del fabbisogno finanziario, l’erronea applicazione delle regole di contabilizzazione delle entrate e spese, l’inadeguatezza dei sistemi di monitoraggio della gestione finanziaria ostacolano il finanziamento di prestazioni pubbliche essenziali, l’adozione di rilevanti misure di politica economica e sociale e la proficua utilizzazione dei finanziamenti europei, “che costituiscono i principali strumenti finanziari della politica regionale di investimento dell’Ue”».
Si tratta di una lunga stratificazione di mali storici, che nel tempo hanno portato a una situazione ormai molto difficile da sbrogliare. Ma è importante provarci, perché questo stato di cose rischia di avere un impatto anche sulla capacità dell’Italia di sfruttare le ingenti risorse messe a disposizione dal programma Next Generation EU.
(Foto di Mathieu Stern su Unsplash )
Noi ci siamo
Quando è nata Avis Legnano i film erano muti, l’Italia era una monarchia e avere una radio voleva dire essere all’avanguardia. Da allora il mondo è cambiato, ma noi ci siamo sempre.