Le specie aliene (o alloctone) invasive (IAS) sono probabilmente le meno studiate tra le cause principali della diminuzione della biodiversità che si registra nel mondo (le altre quattro sono il cambio d’uso dei terreni, il loro sfruttamento eccessivo, l’inquinamento e l’alterazione del clima). Eppure non sono una minaccia meno rilevante per l’ambiente.

Secondo cifre riportate da Le Monde, più di 37 mila specie sono già state introdotte in nuove regioni del mondo per cause umane. Solo una minoranza di esse però (3.500, pari a circa il 10 per cento) si rivela “invasiva”, cioè cresce e si riproduce rapidamente arrivando a danneggiare il nuovo ambiente. Gli effetti però possono essere di portata molto ampia: le IAS condannano le specie autoctone all’estinzione, portano gli ecosistemi al limite, danneggiano la salute delle popolazioni locali, impoveriscono le loro risorse e pesano sull’economia.

Una volta insediata, spiega Le Monde, una specie invasiva può alterare le proprietà dell’ecosistema (ad esempio le caratteristiche del suolo o dell’acqua), la competizione tra le specie e la predazione, danneggiando le specie autoctone. Secondo la Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services (IPBES), le IAS hanno svolto un ruolo rilevante nel 60 per cento delle estinzioni conosciute e sono state la causa unica del 16 per cento delle estinzioni. In totale, almeno 218 IAS sono state documentate come responsabili dell’estinzione di oltre 1.200 specie.

Queste specie hanno anche gravi conseguenze per le popolazioni locali. Ne sanno qualcosa, per fare un esempio recente, gli allevatori di vongole e cozze del delta del Po che, a causa della specie invasiva del granchio blu – introdotta probabilmente dal continente americano attraverso navi mercantili – stanno perdendo gran parte della loro produzione. Di recente si è parlato anche della formica di fuoco, originaria del Sud America, che è stata individuata in Sicilia con colonie consistenti. Si tratta di una specie molto aggressiva, in grado di danneggiare apparecchiature elettriche e di telecomunicazione, oltre a causare danni all’agricoltura e all’uomo, con i suoi morsi velenosi e molto dolorosi. Ma forse la specie invasiva con cui abbiamo più familiarità, nostro malgrado, è la zanzara tigre, ormai presente in tutta Italia, che è un vettore di malattie come la febbre dengue, la chikungunya e la zika.

Purtroppo la tendenza non è destinata a cambiare in futuro. Si prevede infatti che vari fattori legati anche alle attività umane, come i cambiamenti climatici, favoriscano l’insediamento e l’espansione delle specie aliene. Questo è un problema per la biodiversità perché un ecosistema omogeneo, impoverito o indebolito sarà meno resistente alla minaccia esterna.

Nonostante la portata della sfida, spiega Le Monde, i ricercatori dell’IPBES sottolineano che abbiamo a disposizione soluzioni efficaci. Oggi, mentre l’80 per cento dei Paesi ha degli obiettivi per le specie invasive nei propri piani nazionali per la biodiversità, solo il 17 per cento ha leggi o regolamenti specifici. La prevenzione è la chiave di tutto, e l’individuazione precoce e la reazione rapida possono ridurre i tassi di insediamento. In alcuni casi, soprattutto sulle isole, i programmi di eradicazione hanno avuto successo. In alternativa, a volte è possibile attuare misure di contenimento fisico, biologico o chimico per limitare l’espansione di una specie.

(Foto di Milada Vigerova su Unsplash)

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