Chi vaccinare prima? Quanto è lecito puntare sulla rapidità a discapito della sicurezza? Dovrebbe essere obbligatorio? Queste e altre domande ruotano attorno all’accesissima attività di ricerca che riguarda l’individuazione di un vaccino in grado di proteggere dal virus SARS-CoV-2, responsabile del COVID-19. Su Scienza in rete, una serie di articoli sta affrontando i diversi temi, cercando di offrire qualche possibile indicazione. Diversamente da come ci hanno abituato i media e (forse soprattutto) i social network, prima di provare a ipotizzare delle risposte, occorre affrontare la realtà in tutta la sua complessità.
Meglio prima o più sicuro?
Partiamo dal clima di attesa e speranza su cui stanno spingendo molto i media. Ogni piccolo traguardo nel processo di sperimentazione viene presentato come la promessa di una prossima soluzione al problema. Ogni arresto o rallentamento viene dipinto come una sconfitta per la comunità scientifica nel suo complesso. E così all’infinito. Un approccio di questo tipo (fomentato dai governi di alcuni Paesi) è problematico per diversi motivi. Innanzitutto perché crea l’illusione che l’isolamento di un vaccino sia una questione prevedibile, programmabile, e quasi realizzata. Purtroppo non è così, e bisogna rassegnarsi al fatto che la ricerca, soprattutto nel caso di un virus di cui sappiamo relativamente poco, è imprevedibile. In secondo luogo, questa dinamica rischia di creare un clima di sfiducia verso il progresso scientifico, come se le difficoltà incontrate fossero la testimonianza di un continuo insuccesso, di un’incapacità degli scienziati di mantenere le “promesse”. In un clima di diffuso scetticismo verso i vaccini e le medicine, non è il massimo continuare a battere su questo tasto. La realtà è che, se già i tempi della sperimentazione di un farmaco o di un vaccino sono di per sé lunghi, la prospettiva di dover inoculare un ipotetico vaccino nell’intera popolazione mondiale pone dei grossi problemi in termini di sicurezza. Alcuni numeri possono chiarire la questione: «Per quanto riguarda gli eventi avversi occorre sottolineare che anche l’osservazione di qualche decina di migliaia di persone nel corso di una sperimentazione può risultare non adeguata a rivelare eventi avversi rari, ma importanti quando si passa a vaccinare non più migliaia ma milioni di persone. Se nessun serio evento avverso è stato ad esempio registrato in un campione di popolazione di 25.000 persone osservate per un anno, cioè il tasso osservato di eventi è 0/25.000=0, c’è una probabilità (calcolabile con la distribuzione di probabilità di Poisson) del 99 per cento che il tasso vero nella totalità della popolazione sia compreso tra 0 e circa 5/25.000=0,0002 ovvero, detto più comodamente, 200 per milione. In altre parole si può essere quasi sicuri (al 99 per cento) che l’incidenza di eventi avversi seri non sia più alta di 200 per milione: può però essere al limite di sicurezza di 200, che quando si passa a vaccinare 10 milioni di persone vuol dire 2.000 eventi, valore da prendere in considerazione nel ponderare il rapporto “potenziali benefici/ potenziali danni”». Anche senza essere esperti di statistica, il problema appare piuttosto evidente: una piccola percentuale di un numero molto grande, è comunque un numero molto grande, e quindi le cautele necessarie non possono che aumentare.
Chi vaccinare prima?
Nella scelta su chi debba avere la priorità sulla vaccinazione, la medica Simonetta Pagliani fa notare come sia alto il rischio che le possibilità economiche di ciascuno Stato determinino le priorità nella scelta delle categorie a cui somministrare prima il vaccino. Non è inoltre così facile determinare quali siano le categorie a rischio, dato che nessuna di queste vive completamente separata dalle altre. Se, per esempio, individuiamo gli anziani come categoria a rischio, bisogna considerare che questi hanno dei nipoti, che possono contagiarli. Quindi anche i giovani e gli studenti diventano una priorità. Allo stesso modo, non si può parlare genericamente di “personale sanitario”, senza considerare tutte le professionalità che permettono agli ospedali di funzionare (imprese di pulizia, lavanderia, mensa, sicurezza, manutenzione, amministrazione). C’è poi una questione ancora più delicata, che richiama un problema politicamente molto sentito in questo periodo: «Se il principio-guida morale deve essere quello di vaccinare per prime le persone più a rischio di morire, non bisogna dimenticare che le categorie più in pericolo sono la popolazione carceraria e quella dei campi profughi o delle favelas dei lavoratori stagionali, spesso irregolari: è ovvio, però, che sarebbe molto difficile per qualsiasi governo proporre agli elettori di vaccinare i carcerati o gli immigrati prima dei loro figli o nonni o medici»
Obbligatorio o no?
Sull’obbligatorietà o meno del vaccino, facciamo parlare ancora Pagliani: «Per gli esperti di Medscape (un portale web frequentato da medici, ndr) la vaccinazione in un primo tempo non dovrebbe essere obbligatoria, ma praticata su base volontaria, forse con la sola eccezione del personale sanitario, in cui dovrebbe essere almeno fortemente raccomandata; l’obbligatorietà, essi sostengono, ha più senso se si mira alla completa eradicazione della malattia (come nel caso del morbillo), mentre in questo caso si può mirare, al massimo, al suo controllo. E se questo è l’obbiettivo realistico, vale la pena di puntare non solo sul vaccino, ma anche sulle opzioni terapeutiche, come i nuovi antivirali e gli anticorpi monoclonali».