Quando il Regno Unito ha lasciato l’Unione europea, il 31 gennaio 2020, c’era molta tensione circa l’eventuale fine della partecipazione dei suoi ricercatori ai programmi europei, in particolare Horizon Europe (95 miliardi di euro). Come scrivevamo tempo fa, l’accordo di uscita siglato tra le parti avrebbe dovuto salvaguardare tale partecipazione, e quindi i partenariati internazionali presenti e futuri, impegnando il Regno Unito a versare al fondo un importo proporzionale al proprio prodotto interno lordo. Nel frattempo però i rapporti tra UE e Regno Unito si sono fatti più tesi, e attualmente l’erogazione di fondi a favore di istituti  britannici è stata sospesa.

Il motivo principale della rottura, spiega Nature, è la decisione del governo britannico di infrangere alcuni termini dell’accordo di separazione che aveva negoziato con l’UE. Il governo britannico ha introdotto un progetto di legge che intende modificare gli accordi commerciali tra l’Irlanda del Nord (che fa parte del Regno Unito) e la Repubblica d’Irlanda (membro dell’UE). Lo sta facendo unilateralmente, invece di utilizzare lo strumento di risoluzione delle controversie. Questa iniziativa ha innescato un’azione legale da parte dell’UE contro il Regno Unito per violazione del diritto internazionale.

Nel frattempo, l’UE ha interrotto la cooperazione nella ricerca e ai beneficiari britannici di finanziamenti europei è stato detto che dovranno trasferirsi in un’istituzione dell’UE se vogliono avere accesso ai fondi. L’azione legale probabilmente renderà molto più difficile qualsiasi futuro accesso del Regno Unito a Horizon Europe: la causa durerà probabilmente diversi anni, mentre Horizon Europe terminerà nel 2027 (anche se alla sua scadenza sarà seguito probabilmente da un programma analogo).

I dirigenti del mondo della ricerca nell’UE e nel Regno Unito hanno portato avanti una campagna dal titolo “Stick to Science” (“Attenersi alla scienza”), esortando i politici a tenere la politica fuori dalla scienza. Ma, a meno di un ripensamento dell’ultimo minuto, una relazione che dura da circa cinque decenni sembra destinata a finire. Se questo dovesse accadere, si tratterebbe secondo Nature della più grande battuta d’arresto della cooperazione scientifica europea mai vista finora: nel corso degli anni infatti i ricercatori dell’Europa continentale hanno contribuito enormemente ad arricchire la scienza del Regno Unito, e viceversa.

I rapporti tra il governo britannico e gli scienziati del Paese sono ai minimi storici, non solo per quest’ultima evoluzione ma anche perché i ricercatori sono esasperati dall’incertezza e dalla mancanza di comunicazioni dettagliate su ciò che accadrà in futuro. Il Regno Unito sta preparando un fondo globale di riserva per i ricercatori britannici, denominato Piano B, che includerà borse di studio internazionali per i ricercatori britannici e maggiori finanziamenti per la scienza ad alto rischio e ad alto rendimento.

Se però il Paese non entrerà a far parte di Horizon Europe e il Piano B non sarà pronto in tempo, si teme che parte dei fondi stanziati possa essere dirottata verso altre priorità di spesa.

Questi fondi finora hanno sostenuto i partenariati tra i ricercatori del Regno Unito e le controparti internazionali, tra cui molti nei Paesi a basso e medio reddito, in particolare su progetti finalizzati al raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite.

La storia del distacco scientifico del Regno Unito dall’UE deve essere un monito per i ricercatori di tutto il mondo, avverte Nature: la cooperazione internazionale in campo scientifico non può essere data per scontata. I ricercatori si aspettano che coloro che sono stati eletti alla guida del Paese comprendano che la scienza e la conoscenza prosperano grazie ai partenariati e agli scambi internazionali e che, in tempi di tensione politica, disaccordo o conflitto, la ricerca dovrebbe continuare a prescindere dalle differenze. Ma il modo in cui la rottura tra il Regno Unito e l’UE si è riversata sulla scienza dimostra che non è così.

«Mentre il mondo entra in una fase molto più incerta dopo la pandemia e l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia – conclude Nature –, esortiamo tutti i ricercatori a raddoppiare gli sforzi per mantenere e rafforzare le collaborazioni. Nessuna azione, per quanto piccola, è inutile. Gli atti di solidarietà, sommati tra loro, mantengono vive le collaborazioni in assenza di legami formali, proprio come hanno fatto in tempi precedenti di tensione e conflitto».

(Foto di Christian Lue su Unsplash)

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