Da molto tempo, ben prima che iniziasse la pandemia, una folta schiera di giornalisti e ricercatori sono impegnati nel debunking, ossia nello smontare le tante teorie del complotto diffuse in ogni angolo del pianeta. La pandemia ha reso ancora più urgente questo impegno, visto che dal successo delle campagne di vaccinazione nei diversi paesi dipende letteralmente la vita o la morte di migliaia di persone. Teorie del complotto circondano anche la Nato, la propaganda russa e i presunti laboratori di armi biologiche ucraini.

Nel settore ci si interroga però su quali siano le strategie migliori per combattere il fenomeno. Rispondere alla disinformazione con l’informazione non sembra sempre la scelta più efficace. Allo stesso modo, è un errore “patologizzare” chi si infila nel tunnel del complottismo, perché questo non fa che estremizzare le posizioni in campo.

Le teorie del complotto, come scrive su Nature la ricercatrice Elzbieta Drazkiewicz, riguardano più i valori che la conoscenza. Sfatare i miti complottisti potrebbe funzionare di tanto in tanto, ma non affronta il problema alla radice.

Non è sufficiente studiare i singoli individui e le loro idee, suggerisce Drazkiewicz: bisogna considerare la struttura della società e i contesti culturali e storici che generano e propagano le idee cospiratorie.

Le teorie del complotto non nascono dal nulla, bensì amplificano le paure e le idee già presenti nel luogo in cui trovano spazio. Non basta dire: “Le persone che si sentono impotenti abbracciano le teorie della cospirazione”. Bisogna capire perché si sentono così. Spesso, alla base c’è una forma di maltrattamento subita da parte di altre persone o istituzioni. Le donne che hanno sperimentato regimi riproduttivi oppressivi, come quello in Romania durante il regime di Nicolae Ceausescu, spesso scelgono di non essere vaccinate, spiega Drazkiewicz. Allo stesso modo, le persone che si vaccinano generalmente non lo fanno perché hanno una piena comprensione dell’immunologia, ma perché hanno fiducia nei sistemi sanitari.

Durante i primi mesi della pandemia, Drazkiewicz ha analizzato i post sui social media che riguardavano le teorie del complotto sul COVID-19 in tre paesi. Anche se le teorie sembravano simili tra loro (“il governo sta nascondendo la verità sulla malattia”), il ragionamento culturale alla base era diverso. Negli Stati Uniti, gli argomenti complottisti erano legati al tema dell’attacco alla libertà di ognuno di costruire il proprio benessere. In Polonia, riflettevano la preoccupazione che lo stato stesse nascondendo i propri insuccessi. In Irlanda, il discorso era imperniato su paure post-coloniali e sul sospetto dell’influenza straniera. Le teorie del complotto traggono la propria spinta dalla capacità di entrare in risonanza con storie locali. Per contrastarle, suggerisce la ricercatrice, le istituzioni devono essere consapevoli di questi meccanismi ed essere pronte a incorporarli nelle proprie campagne, andando oltre il puro dato sanitario. Non c’è una strategia efficace in ogni occasione. Ciascun contesto ha bisogno di un approccio leggermente diverso.

Un’altra tendenza controproducente, secondo Drazkiewicz, è il tentativo di creare un profilo di coloro che abbracciano le teorie del complotto, esasperando le caratteristiche che li rendono un gruppo “a parte”. Ma una grossa parte di questa costruzione di un “noi contro di loro” ha a che vedere con le motivazioni dei ricercatori. Molti di essi si sentono impegnati a difendere la democrazia e la scienza, il che li rende propensi a identificare coloro che abbracciano le teorie del complotto come una minaccia o come nemici. Ma questo devia l’attenzione dei ricercatori dagli individui e le loro convinzioni, e impedisce di guardare ai sistemi che spingono le persone verso gruppi cospiratori.

«Capisco e condivido le preoccupazioni secondo cui un approccio più empatico ha dei rischi – conclude Drazkiewicz –. Sono stata accusata di dare visibilità a opinioni che sarebbe meglio ignorare. Ma è importante esaminare i meccanismi che rendono attraenti le teorie del complotto. Un’attenzione troppo incentrata sui deficit percepiti dagli individui distoglie dalle realtà sociali che aiutano le teorie cospiratorie a prosperare».

(Foto di Clint Patterson su Unsplash)

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