*** Aggiornamento: L’Istat ha pubblicato il 14 luglio i nuovi dati sulla povertà in Italia. Non ci sono novità di rilievo rispetto a quanto scritto nel nostro articolo, dunque lo lasciamo così com’è. In ogni caso le statistiche aggiornate sono disponibili sul sito dell’Istituto di statistica.
Il governo ha presentato un disegno di legge delega per contrastare la povertà. Una misura che si rende necessaria visto che questa non accenna a diminuire. Secondo alcuni, però, le risorse previste non sarebbero sufficienti ad arginare il fenomeno. «Nel 2014, 1 milione e 470 mila famiglie (5,7 per cento di quelle residenti) è in condizione di povertà assoluta, per un totale di 4 milioni 102 mila persone (6,8 per cento della popolazione residente)». Questi gli ultimi dati Istat disponibili. L’istituto di ricerca aggiunge che «Dopo due anni di aumento, l’incidenza della povertà assoluta si mantiene sostanzialmente stabile». Però, «considerando l’errore campionario, il calo rispetto al 2013 del numero di famiglie e di individui in condizioni di povertà assoluta (pari al 6,3 per cento e al 7,3 per cento rispettivamente), non è statisticamente significativo (ovvero non può essere considerato diverso da zero)». Dunque (ma sarebbe interessante avere dati più aggiornati) la povertà ha smesso di crescere, ma non accenna a diminuire in maniera significativa.
Un provvedimento giudicato positivamente da più parti è l’istituzione del Fondo per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale, previsto dal comma 386 della legge di Stabilità 2016. Ora l’idea è di sfruttare quei fondi per finanziare la nuova legge, con un’integrazione. Il che rappresenta di sicuro una svolta rispetto a quanto fatto finora per contrastare la povertà, ma secondo alcuni si tratta di un passo che non va nella direzione giusta.
Il sito ValigiaBlu riassume in tre punti gli obiettivi della legge: «a) introdurre una misura nazionale di contrasto alla povertà e dell’esclusione sociale, da garantire in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale; b) riordinare le prestazioni di natura assistenziale finalizzate al contrasto della povertà, escluse le pensioni di anzianità, vecchiaia e invalidità e le prestazioni a sostegno della genitorialità; c) coordinare gli interventi in materia di servizi sociali per garantire su tutto il territorio nazionale i livelli essenziali delle prestazioni per i cittadini. La misura prevede l’erogazione di un beneficio economico e di servizi (mediante progetti personalizzati). Le persone potranno così beneficiarne dopo verifica dell’indicatore della situazione economica equivalente (Isee) e a patto che partecipino a un progetto personalizzato di inclusione sociale e lavorativa che consenta loro l’affrancamento dalla condizione di povertà».
In merito all’ammontare dei finanziamenti, «Al Programma sono destinati 600 milioni di euro nel 2016 (380 milioni di euro, incrementando il Fondo per i cittadini meno abbienti istituito dal decreto legge n.112/2008 e 220 milioni dall’incremento di spesa dell’assegno di disoccupazione, con un aumento di risorse pari a 1,03 miliardi di euro per il 2017 e 1,054 miliardi a decorrere dal 2018. I progetti saranno potenziati anche da risorse afferenti ai Programmi Operativi Nazionali e Regionali, utilizzando i fondi strutturali europei 2014-2020».
Secondo l’Alleanza contro la povertà (espressione di Acli e Caritas), la natura non incrementale dei fondi è il punto debole del progetto, che secondo le stime arriverebbe a intervenire su 3 poveri su dieci. «Mentre per il 2016 i fondi previsti dal Governo sono sostanzialmente simili a quelli ipotizzati dall’Alleanza, a partire dal 2017 le strade divergono perché, come detto, l’attuale testo della delega non ne contempla la progressiva crescita bensì la stabilizzazione a 1,5 miliardi annui. […] Il punto di fondo – seppure manchino stime precise – è chiaro: la delega non contiene alcuna ipotesi di finanziamento che renda possibile (e neppure avvicinabile) prima del prossimo decennio il reperimento dei 7 miliardi indispensabili per il Reis (Reddito d’inclusione sociale)».
In merito alla gestione da parte di istituzioni territoriali, si fa notare che la precarietà dei fondi a cui fa riferimento il testo è un altro fattore critico della legge: «Il carattere di provvisorietà dello stanziamento per i percorsi d’inclusione sociale fa cadere la possibilità che lo Stato definisca qualsiasi regola certa rispetto alla loro effettiva fruizione da parte dei cittadini, assente nella delega. Analogamente, non si prevedono le necessarie modalità per rafforzare le competenze degli operatori impegnati nei territori, quali iniziative di accompagnamento e formazione, e neppure le attività di monitoraggio utili ad imparare dall’esperienza. Complessivamente, dunque, si chiede alla realtà del welfare locale di costruire strategie per l’inclusione sociale dei propri cittadini poveri senza dotarle di strumenti adeguati allo scopo». L’iter della legge sarà ancora lungo, al momento il testo è stato discusso e modificato dalle Commissioni competenti, e a breve inizierà la discussione nelle Aule del Parlamento. Poi il governo dovrà dare applicazione alla delega. Ci auguriamo che nelle settimane che seguiranno ci sarà modo di mettere qualche pezza a una buona idea che sta nascendo un po’ storta.
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