I principali partiti in Parlamento si stanno confrontando per raggiungere un accordo sulla legge elettorale. Dopo mesi di forti contrapposizioni, sembra esserci una convergenza verso un sistema che combini proporzionale e maggioritario. Ciò su cui però sarebbe opportuno intervenire, ed è difficile che ciò avvenga prima delle prossime elezioni, sono i regolamenti di Camera e Senato. Questo perché all’interno dei due rami del Parlamento italiano c’è una fortissima attività di creazione e cancellazione di gruppi parlamentari, e grazie all’altrettanto alta propensione ai cambi di gruppo da parte dei parlamentari il panorama delle Aule è completamente cambiato rispetto alle ultime elezioni. Sia chiaro, i parlamentari italiani esercitano il proprio ruolo di rappresentanza senza vincolo di mandato: si tratta di un principio costituzionale che non abbiamo intenzione di contestare.

Tuttavia, a fine maggio è avvenuto il 491esimo cambio di gruppo dall’inizio della legislatura. In tutto, secondo i dati di OpenPolis, a cambiare “casacca” sono stati 321 parlamentari, il 33,79 per cento degli eletti. Per quanto ci siano stati avvenimenti politici che hanno in parte determinato un certo numero di spostamenti, una cifra del genere è assolutamente fuori controllo. Peraltro quest’ultimo cambio è legato alla nascita di un nuovo gruppo al Senato, l’11esimo per palazzo Madama, che si chiama Federazione della libertà ed è guidato da Gaetano Quagliariello. Se dunque non è in discussione il fatto di introdurre un qualche tipo di vincolo di mandato, sarebbe almeno possibile modificare le norme che regolano l’apertura e la chiusura dei gruppi parlamentari, visto che le soglie attualmente previste vengono costantemente aggirate.

Secondo OpenPolis, «i gruppi che sono direttamente riconducibili a liste elettorali che hanno partecipato ultime politiche sono solamente quattro: Fratelli d’Italia (presente in un solo ramo), Lega nord, Movimento 5 stelle e Partito democratico. I gruppi restanti o hanno cambiato nome e schieramento oppure sono il risultato delle tante scissioni interne alle liste elettorali». In teoria, per formare un nuovo gruppo servono almeno 20 deputati o 10 senatori. Un numero già piuttosto basso, ma che può scendere ancora a discrezione dell’ufficio di presidenza dell’aula, «“purché [il gruppo] rappresenti un partito organizzato nel paese che abbia presentato, con il medesimo contrassegno, in almeno venti collegi, proprie liste di candidati, le quali abbiano ottenuto almeno un quoziente in un collegio ed una cifra elettorale nazionale di almeno 300 mila voti di lista validi” (comma 2 dell’art. 14 – regolamento della camera). Ad oggi, per esempio, il 50 per cento dei gruppi alla camera ha meno di 20 membri, risultando formalmente fuori dalla norma».

L’alto trasformismo del Parlamento italiano porta con sé un problema più ampio, che rischia di aggirare le soglie di sbarramento previste dalla legge elettorale (attualmente si parla di introdurre una barriera al 5 per cento). Il punto è che i partiti più piccoli, che sono già sicuri di non superare la soglia, sono portati a presentare una propria lista di delegati all’interno di partiti più grandi, dai quali poi si staccheranno una volta entrati in Parlamento, per convergere in un nuovo gruppo e continuare a fare la propria parte, senza essere realmente passati dalle urne. Peraltro spesso queste piccole formazioni risultano determinanti nell’approvazione di importanti provvedimenti legislativi, il che rende ancora più grave il loro aggiramento del test elettorale.

«Attualmente 9 dei 23 gruppi politici di camera e senato sono unioni di componenti». Come vedete non si tratta di mere ipotesi, ma di una prassi consolidata, che non sarà intaccata da qualsivoglia sistema pseudo-tedesco-con-correttivo-doppio-antani-carpiato (perdonate il sarcasmo). Sono discorsi che non sembrano interessare i partiti che si stanno confrontando per approvare la prossima legge elettorale, ma sarà bene pensarci per non ritrovarci anche alla prossima tornata con un Parlamento in cui piccole formazioni-matrioska risultino determinanti per la tenuta del governo.

In chiusura, ci preme sottolineare che questa corsa alle urne che sembra essere ripresa negli ultimi giorni porterà all’interruzione dell’iter di 92 disegni di legge approvati da un solo ramo del Parlamento. Tra essi, anche materie che sono state al centro di forte dibattito: «testamento biologico, ddl concorrenza, legittima difesa, ius soli, reato di tortura e il ddl per l’attribuzione del cognome ai figli». Ne abbiamo sentito parlare per settimane come fossero questioni di primaria importanza, ora rischiano di tornare al punto di partenza.

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