Ha compiuto due anni la legge Cirinnà, quella che (tra le altre cose) ha istituito le unioni civili per il riconoscimento delle coppie gay. A pochi mesi dalla sua entrata in vigore, qualcuno si interrogava sulla reale utilità del provvedimento, dato che i numeri registrati sembravano relativamente bassi. Come abbiamo spiegato in un articolo uscito esattamente un anno fa, non erano per niente poche le unioni celebrate, confrontando il dato italiano con lo storico di altri Paesi che hanno seguito un percorso simile, e prendendo in considerazione la percentuale di persone omosessuali rispetto al totale della popolazione.

Ieri il Sole 24 Ore ha pubblicato le statistiche aggiornate, che risultano così composte: «Secondo i dati del ministero dell’Interno, le unioni civili costituite a fine 2017 erano 6.073 (2.433 a fine 2016). Numeri ancora contenuti che però confermano il valore di una legge finalizzata ad aumentare i diritti civili di una minoranza. La Provincia di Roma guida la classifica con 845 unioni, seguita da Milano con 799. Netta la differenza fra Nord e Sud: Napoli si colloca al sesto posto con 183 unioni ma nel Mezzogiorno si collocano tutte le Province con i dati più bassi». C’è da dire che, se anche i numeri fossero stati più bassi, non avrebbe comunque senso di parlare di “flop” della legge. Si tratta di riconoscere un diritto a una minoranza, senza alcun costo aggiuntivo per il resto della popolazione. Dunque, che poi siano celebrate 10mila unioni civili all’anno oppure 12 poco importa. O meglio, se fossero davvero poche bisognerebbe interrogarsi sul modo in cui è stata scritta la norma e sul suo funzionamento.

Una tendenza interessante per capire meglio la complessità del quadro emerge da un articolo pubblicato su Lavoce.info, secondo cui «Ben due terzi delle unioni civili registrate in Italia nel 2016 sono state fra uomini, ha dichiarato recentemente il presidente dell’Istat. A Bologna, uno dei comuni in cui tali unioni sono state più numerose, quelle fra due donne non hanno raggiunto, negli ultimi due anni, il 30 per cento». C’è quindi un gender gap(cioè un divario di genere) nella scelta di registrare o meno la propria unione in Comune. Gli uomini tendono a farlo più delle donne. Anche questo trend sorprende meno se si guarda fuori dai confini, visto che anche negli altri Paesi inizialmente sono stati più gli uomini delle donne a ricorrere alla registrazione. Su questo, secondo l’articolo in questione, peserebbe un maggiore interesse da parte delle donne nell’avere un figlio. Quando i parlamenti dei vari Paesi sono intervenuti per permettere alle coppie omosessuali di avere figli, il divario ha iniziato ad assottigliarsi, fino a scomparire o, addirittura, a ribaltarsi, come in Danimarca, Norvegia e Svezia. C’è da aggiungere che quello dell’omosessualità è un universo complesso.

Il numero di persone che hanno avuto relazioni (o anche solo attrazioni o comportamenti) omosessuali nel corso della propria vita sono molte di più di quelle che arrivano a dichiararsi omosessuali. «Le ricerche finora condotte in Europa, negli Stati Uniti e in Australia (qui e qui) distinguono tre dimensioni della sessualità: i sentimenti (l’attrazione erotica che si ha verso una persona e l’amore che si sente nei suoi confronti), i comportamenti (quello che si fa con tale persona) e l’identità (l’insieme dei significati che attribuiamo a sentimenti e comportamenti e che definisce l’orientamento sessuale, eterosessuale, bisessuale, omosessuale). Fra le tre dimensioni non vi è piena corrispondenza e in genere è più facile avere desideri e attività omoerotiche che definirsi omo o bisessuali. Così, ad esempio, in Italia, su cento persone che, nel corso della loro vita, hanno provato attrazione per una persona dello stesso sesso, solo 31 raggiungono una identità non eterosessuale, cioè arrivano a considerarsi gay, lesbiche o bisessuali».

Di certo l’aspetto identitario gioca un ruolo molto forte nell’arrivare a ufficializzare la propria relazione davanti alla legge. Per quanto riguarda l’Italia, sembra ci sia una situazione paradossale: «Mentre la quota di chi ha provato sentimenti omoerotici nel corso della propria vita è maggiore nella popolazione femminile che in quella maschile, per la percentuale di chi non si definisce eterosessuale vale l’opposto. In altri termini, sono più di frequente gli uomini delle donne a dichiararsi non eterosessuali».

(Foto di Alvin Mahmudov su Unsplash)