La lettura è una delle attività più caratteristiche della nostra specie. Da quando è stata inventata la scrittura, oltre 5 mila anni fa, gli esseri umani non hanno mai smesso di praticare la lettura per trasmettersi storie, conoscenze, pensieri, testimonianze. Ma com’è cambiato il nostro modo di leggere nella cosiddetta “era digitale”? Approfittiamo della Giornata per la promozione della lettura, che si celebra oggi, per provare a rispondere. Prima di proseguire, vi invitiamo a tenere d’occhio i nostri profili Facebook e Instagram, in cui oggi pubblicheremo alcuni consigli di lettura.

Per rispondere alla domanda facciamo riferimento a un articolo pubblicato su ABC da Maryanne Wolf, accademica impegnata nella promozione dell’alfabetizzazione nell’infanzia e nelle persone con problemi di dislessia.

L’alfabetizzazione, spiega Wolf, modifica letteralmente il cervello umano. Il modo in cui avviene questo processo è influenzato non solo da cosa leggiamo, ma anche da come leggiamo e su cosa leggiamo (carta, ebook reader, telefono, tablet, computer). Questo aspetto è particolarmente importante nella nostra realtà, in cui ciascuno di noi ha un rapporto continuo con diversi tipi di schermi. La questione è ancora più centrale dopo la pandemia, che ha reso sempre più diffuso il lavoro da casa e la didattica da remoto.

Lo studio più recente sugli effetti a lungo termine dell’uso dello schermo sui bambini molto piccoli, pubblicato su JAMA Pediatrics, ha dimostrato che l’aumento del tempo trascorso sullo schermo nei bambini è associato a un minore sviluppo delle regioni del cervello responsabili delle funzioni che regolano l’attenzione, gli impulsi, l’inibizione e alcuni aspetti della memoria. Guardando uno schermo, il bambino viene bombardato da un flusso di movimenti veloci, luci lampeggianti e cambi di contesto che richiedono grandi risorse cognitive per essere interpretati ed elaborati. Il cervello viene quindi “sopraffatto” e non è in grado di sviluppare risorse adeguate per la maturazione di alcune abilità.

Questa stessa esperienza riguarda anche gli adulti. Che si tratti di un bambino piccolo o di un adulto, spiega Wolf, la trasformazione di nuove informazioni in conoscenze consolidate nei circuiti cerebrali richiede quel tempo che spesso viene a mancare quando si sfoglia uno schermo digitale.

Ciò che si perde sono i processi di lettura profonda, che richiedono una qualità dell’attenzione sempre più compromessa in una cultura e su degli strumenti in cui la distrazione costante comprime la nostra capacità di attenzione.

Il punto è che, come specie, non siamo nati per leggere. L’alfabetizzazione richiede la creazione di nuovi circuiti cerebrali, resi possibili dalla plasticità del nostro cervello. Tale plasticità ovviamente si adatta a qualunque supporto, ma con delle differenze. La lettura su carta favorisce processi cognitivi più lenti, che richiedono attenzione e tempo. Il mezzo digitale favorisce invece processi veloci e il multitasking, necessari a scremare il bombardamento quotidiano di informazioni. Con le sempre più diffuse modalità di lettura “a Z” o “a F” (in riferimento ai movimenti oculari), ciò che si perde è tra le righe: i dettagli della trama, la bellezza del linguaggio di un autore, l’immersione nelle prospettive altrui. Le conseguenze di queste perdite, secondo i ricercatori, vanno dalla diminuzione dell’empatia e dell’analisi critica alla suscettibilità alle fake news e alla demagogia.

Come affrontare questo problema? Secondo Wolf, la grande sfida è imparare a utilizzare sia la carta stampata sia i mezzi digitali per trarne il massimo vantaggio. Per lo sviluppo della lettura non c’è niente di meglio che la lettura di libri ai bambini da parte di genitori e insegnanti.

«Come società dobbiamo fare in modo che accanto ai dispositivi digitali dei nostri figli ci siano sempre dei libri – conclude Wolf –. Facciamo in modo che i libri diventino di nuovo i luoghi in cui possiamo lasciarci alle spalle il nostro io ed esplorare la conoscenza, le persone, i luoghi, le idee al di là della nostra immaginazione. Questo processo ci trasforma, ci mette alla prova e ci fa crescere come individui e come specie».

(Foto di Micha? Parzuchowski su Unsplash)

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