L’estate si avvicina ed è tempo di pensare alle vacanze. Difficile per molti fare programmi, la crisi ci lascia tutti con il portafogli più leggero e quindi poco inclini a pensare in grande. Ma potrebbe essere l’anno buono per fare un’esperienza diversa, non solo esplorativa o di puro relax, ma di vera scoperta, di luoghi e di persone (quelle attorno, ma anche noi stessi). Parliamo dei campi di lavoro. Ormai la fase pionieristica di questo genere di viaggi è ampiamente superata, sono numerose le associazioni che realizzano progetti nei Paesi del terzo mondo per i quali sono necessari dei volontari. Ce n’è di ogni tipo, laiche e confessionali, ma tutte accomunate da finalità sociali. C’è chi si occupa di ambiente, come il Wwf, che organizza campi di lavoro in diverse parti d’Italia educando alla salvaguardia dell’ecosistema. Ci sono poi quelle più apertamente filantropiche, come Arché, che opera principalmente in Zambia, o Ipsia Acli, che si occupa di volontariato internazionale nell’area dei Balcani. Meglio controllare bene i siti internet e prendere contatti diretti, perché quasi sempre è previsto un periodo di formazione precedente alla partenza, in modo che all’arrivo nel luogo di destinazione il volontario sappia già come muoversi.
L’offerta è la più varia, basta consultare le associazioni della propria città, o fare qualche ricerca su internet. Le possibilità saranno là ad attendervi, ma non temporeggiate troppo, molti progetti prevedono la formazione del team di lavoro in queste settimane, meglio affrettarsi. Poi possiamo produrci in acrobatici sofismi, in cui giungiamo all’inconfutabile conclusione che chi partecipa a questo tipo di iniziative in realtà lo fa più per stesso, per mettersi a posto la coscienza; che con un approccio assistenziale i Paesi sottoviluppati non imparano a governarsi da soli e a uscire dai momenti di crisi con le proprie forze. Tutto vero, o comunque sensato, ma non possiamo dimenticare che affrontare un viaggio di molte ore (spesso) e impegnarsi da mane a sera per la causa di qualcun altro è un gesto che non può passare via così. E soprattutto, dopo esperienze del genere, si torna a casa con un bagaglio d’esperienze da condividere, e con delle storie che di certo non ha vissuto il vacanziero da manuale nel suo alberghetto vista mare. Sarà che ci piace la vita sobria, sarà che non siamo abituati a vederci in panciolle sotto un’ombrellone, ma l’idea dei campi di lavoro ci pare quest’anno –l’anno del volontariato– il modo migliore di guardare in faccia il fatto che il nostro sistema sta vivendo al di sopra delle proprie possibilità, e forse avere dei messaggeri immersi in un bagno di realismo potrebbe darci delle informazioni utili su come uscire dalla nostra campana di vetro. Senza romperla, meglio tenerla, sapete com’è, in tempo di crisi…