Siamo in piena estate e vorremmo alleggerire i toni. È fisiologico, dopo un periodo difficile per tutti. Ci sono però categorie e gruppi di persone, e sono tanti, per cui non è possibile, nemmeno per un attimo, girarsi dall’altra parte, mettere in pausa i problemi e, almeno per un po’, pensare ad altro.

Ci riferiamo in questo caso alla popolazione carceraria, per la quale l’estate 2021 è l’ennesima stagione piena di disagi, problemi e violazione di diritti.

Sovraffollamento

Lo rivela, o meglio lo conferma, il Rapporto di metà anno pubblicato dall’associazione Antigone. Domina il problema del sovraffollamento. Al 30 giugno le persone detenute erano 53.637, per 50.779 posti ufficialmente disponibili. Quelli effettivamente disponibili secondo il Garante nazionale dei detenuti sono però 47.445, quindi il tasso di sovraffollamento reale è del 113,1 per cento.

Il valore nazionale restituisce solo una parte del problema. Se infatti su 189 istituti ce ne sono 117 con un tasso di affollamento superiore al cento per cento, ce ne sono alcuni dove il problema è più sentito che in altri. 11 di questi hanno infatti un affollamento superiore al 150 per cento. I cinque peggiori sono «Brescia (378 detenuti, 200%), Grosseto (27 detenuti, 180%), Brindisi (194 detenuti, 170,2%), Crotone (148 detenuti, 168,2%), Bergamo (529 detenuti 168%)». A seguire 52 centri di detenzione con un tasso di affollamento tra il 120 e il 150 per cento, e 54 che si situano tra il 100 e il 120 per cento.

Tossicodipendenza

«Al 30 giugno 2021 i detenuti per violazione del Testo Unico sulle droghe erano 19.260», cioè poco meno del 36 per cento di tutte le persone detenute: più di un detenuto su tre, e la tendenza è in aumento. Si tratta di una percentuale molto alta, e bisogna contare che un detenuto su quattro è tossicodipendente. Probabilmente molte di queste persone avrebbero bisogno di un tipo di assistenza diversa, che passi per una terapia di riabilitazione e che preveda una forma di detenzione alternativa al carcere. Si tratta anche di soggetti fragili dal punto di viste sanitario, più soggetti a contrarre malattie infettive. In una situazione come quella che tuttora stiamo affrontando a causa della pandemia, dare loro spazi e cure adeguate diventa ancora più importante.

Misure alternative

«Al 30 giugno 2021 erano 7.147 le persone detenute a cui era stata inflitta una pena inferiore ai 3 anni (per 1.238 era addirittura inferiore all’anno, per 2.180 compresa tra 1 e 2 anni e per 3.729 tra i 2 e i 3 anni)». Anche in questo caso, si tratta di persone che potrebbero scontare la propria pena ricorrendo a strumenti alternativi al carcere, riducendo il sovraffollamento. «Se solo la meta? vi accedesse – si legge nel Rapporto – il problema del sovraffollamento penitenziario sarebbe risolto». Non è solo una questione di rispetto delle leggi: migliorare la qualità del periodo di detenzione riduce sensibilmente la possibilità di recidiva, ossia che la persona restituita alla società torni a commettere reati. Una nota positiva c’è, almeno in prospettiva: «Rispetto al periodo precedente alla pandemia vi e? una diminuzione del numero di persone detenute con pena inflitta inferiore ai 3 anni. A fine 2019 erano il 23,5% del totale, oggi sono il 19%. Si e? dunque fatto un minore ricorso al carcere per reati lievi, per quanto in misura non sucientemente significativa».

Resta significativo il ricorso al carcere preventivo, ossia alla reclusione di persone non ancora condannate. Un condannato su tre non è ancora stato condannato in maniera definitiva (cioè manca ancora almeno un grado di giudizio), mentre uno su sei è in attesa del primo grado di giudizio.

Formazione

La pandemia ha avuto un impatto negativo nell’ambito della formazione, portando i corsi professionali offerti da oltre 200 a 117. «All’apertura dei corsi di formazione erano iscritte 1.279 persone detenute mentre 1.184 risultavano ancora iscritte al loro termine. Di queste, solo 157 sono state promosse».

Osservazione sul campo

Una parte del report è riservata all’osservazione diretta di 67 istituti in cui Antigone è potuta entrare nel corso degli ultimi 12 mesi, nonostante le difficoltà date dalla pandemia. Un’osservazione molto significativa, che ha coperto 14 regioni e quasi la metà della popolazione carceraria italiana.

I problemi principali rilevati riguardano soprattutto il sovraffollamento: «Nel 25% delle carceri visitate abbiamo trovato celle in cui le persone detenute non avevano a disposizione uno spazio minimo di superficie calpestabile pari a 3 metri quadri, limite fissato dalla Corte di Strasburgo sotto il quale esiste una forte presunzione della violazione del divieto di trattamenti inumani e degradanti».

Mancanza di acqua

Alcuni aspetti diventano particolarmente critici data la stagione: «Nel 42% degli istituti sono state trovate celle con schermature alle finestre, le quali impediscono il pieno passaggio di aria e luce naturale e durante il periodo estivo rendono particolarmente penosa la permanenza nelle stanze. Nel 36% delle carceri monitorate vi erano celle senza doccia (laddove il regolamento penitenziario entrato in vigore nel 2000 prevedeva che entro il 20 settembre 2005 tutti gli istituti installassero le docce in ogni camera di pernottamento)».

Anche quando le docce ci sono, i problemi non sono finiti, perché in alcuni istituti manca l’acqua. A Santa Maria Capua Vetere, di cui si è parlato di recente a causa degli episodi di violenza da parte della polizia carceraria, non è mai stato realizzato l’allaccio alla rete idrica, «ragione per la quale l’acqua che viene erogata non e? potabile, nonche? particolarmente ferrosa e di colore torbido. Per questo istituto l’amministrazione nel giugno 2020 ha aggiudicato la gara d’appalto per provvedere all’allaccio idrico, ma i lavori non sono ancora iniziati. Finora l’acqua potabile viene fornita a ciascun detenuto nel numero di due bottiglie da due litri al giorno».

Ci fermiamo qui. È una piccola finestra su un mondo che conosciamo poco, e che siamo poco propensi a guardare, perché pensiamo non ci riguardi. Ma le carceri fanno parte della nostra società e, anche se ne siamo fuori, in qualche modo “ci siamo dentro”.

(Foto di Michael Jasmund su Unsplash )

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