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C’è un minuscolo Paese in Europa, uno degli Stati fondatori dell’Unione europea, che nei giorni scorsi ha subito un “accerchiamento mediatico” a causa di un’inchiesta. Si tratta del Lussemburgo, e il “Lux Leaks” riguarda gli accordi che il Granducato ha concesso alle maggiori aziende mondiali per fare in modo che pagassero meno dell’1 per cento di tasse sui profitti realizzati. Nelle 28mila pagine analizzate dai giornalisti del consorzio Icij (International consortium of investigative journalism) figurano circa 550 accordi fiscali con 340 aziende, tra cui Amazon, Apple, Deutsche Bank e Ikea, tutte clienti dello studio di consulenza PwC.

Niente di illegale negli accordi sottoscritti, ma si tratta di un sistema che contribuisce a fare del Lussemburgo il primo rifugio fiscale al mondo. «La Commissione europea indaga da giugno sulle attività di un paese che ha costruito un regime fiscale su misura per questi grandi gruppi – scrive Le Monde –, in deroga al diritto comune. La Commissione ritiene che i vantaggi concessi ad alcune imprese siano potenzialmente assimilabili ad aiuti di Stato illegali». La Gazeta Wyborcza, da Varsavia, osserva giustamente che «l’inchiesta “Luxembourg Leaks” svela un numero così importante di “contratti fiscali” lussemburghesi che difficilmente i contribuenti europei potranno accettare questa situazione. Tanto più in un periodo in cui questi ultimi sono costretti da tempo a tirare la cinghia».

L’affare si fa ancora più controverso perché a presiedere la Commissione europea, dal primo novembre 2014, è stato nominato Jean-Claude Juncker (ve lo ricordate? Ne abbiamo parlato qui), che è stato primo ministro del Granducato dal 1995 al 2013 (le intese fiscali risalgono al periodo 2002-2010). «È come mettere Dracula a presiedere la banca del sangue», è stato il commento sarcastico dell’australiano Tim Costello, capo del gruppo sulla Società civile all’ultimo G20. In effetti è difficile accettare il fatto che sia opportuno nominare a capo del più importante organo dell’Unione europea una persona che non solo ha guidato un Paese microscopico che basa la sua enorme ricchezza sulle banche e su un sistema fiscale molto vantaggioso, ma che addirittura ora si scopre essere stato in carica proprio mentre il Lussemburgo costruiva una rete di negoziati che lo rendono una meta ancora più appetibile per i capitali di tutto il mondo.

Dopo giorni di silenzio, Juncker ha finalmente fatto alcune dichiarazioni sulla questione: «Non sono l’architetto di quello che chiamate “problema lussemburghese”. […] Non c’è nessun elemento nel mio passato che possa portare a credere che la mia ambizione fosse di organizzare un sistema di evasione fiscale in Europa». Tuttavia, qualche responsabilità (per quanto generica) legata a questi 19 anni da primo ministro del Granducato se le prende: «Sono politicamente responsabile di tutto ciò che è successo in ogni angolo del Paese durante la mia presidenza». Per capire meglio il sistema di accordi portati a conoscenza dal Lux Leaks vi consigliamo di vedere questo breve cartone animato (bisogna cavarsela un po’ con l’inglese, si possono attivare i sottotitoli, sempre in inglese).

L’inchiesta deve avere causato un certo imbarazzo nelle istituzioni europee, visto che, come ha detto lo stesso portavoce della Commissione Margaritis Schiras, è compito dell’esecutivo comunitario far rispettare le regole che vietano aiuti di Stato tali da provocare distorsioni al mercato unico. «La Commissione sta già investigando su numerosi casi sospetti e continuerà a farlo nei prossimi cinque anni». Già, ma con quale credibilità agli occhi degli europei? Più in generale ci chiediamo (da tempo) se le azioni di chi compone gli organi dell’Unione poggino su un mandato che viene dalla popolazione (esistono “gli europei”?), oppure su principi astratti decisi a tavolino da poche persone, le cui decisioni gli Stati membri sono costretti a subire e applicare. È un quadro che ci preoccupa e che svuota di senso le tante parole che ogni giorno sentiamo ripetere a proposito della “lotta all’evasione fiscale”. Forse abbiamo capito la vera arma di questa battaglia: difendere i grandi capitali, scaricare la pressione fiscale sulle persone.