Di “bolla” e di “cancellazione del debito” si parla molto oggi, ma se ne parlava già nel XVII secolo, quando i Paesi Bassi istituirono il Banco di cambio. Un’interessante episodio di storia economica europea, raccontato su Lavoce.info, che ci può dare spunti per comprendere il presente.
Se il tallero si svilisce
Alla fine del 2017, quando la corsa del Bitcoin ha alimentato il dibattito su cosa sia una “bolla”, si è fatto spesso ricorso a una suggestiva vicenda storica: la “bolla dei tulipani”, gonfiatasi ed esplosa nei Paesi Bassi nel XVII secolo. Amsterdam in quegli anni è il vero centro di gravità del mondo finanziario europeo (e quindi mondiale) e offre altri episodi istruttivi per comprendere le implicazioni profonde di alcune idee discusse in questi giorni, come cancellare il debito pubblico dall’attivo di bilancio di una banca centrale, o paventarne il ripudio.
Fino al 1600 gli scambi sono regolati prevalentemente con monete di metallo prezioso (come i talleri d’argento). Ogni singola moneta incorpora il principio che il suo valore di scambio è legato a quello dell’attivo che la sostiene: una moneta d’oro compra più mele d’una d’argento, una pesante più d’una leggera.
Il principale problema monetario dell’epoca è lo “svilimento” (debasement) delle monete: per trarre profitti indebiti, alcune officine di conio le fondono e le riconiano diluendo il metallo prezioso con altri poco nobili, ottenendone così un numero maggiore: si stima che tra il 1560 e il 1600 ogni moneta in circolazione nei Paesi Bassi abbia perso in media il 40 per cento del contenuto di argento. Quello che si osserva è però maggiore inflazione. Perché? Perché non è il tallero di per sé, che compra le mele, ma l’argento che contiene. Se un tallero “regolare” contiene 200 grani d’argento e compra 10 mele, il valore di una mela è 20 grani d’argento. Se fondo quella moneta e ne uso l’argento per coniare due talleri identici nell’aspetto a quello di prima, ma ciascuno con 100 grani di argento combinati con 100 di rame, per comprare 10 mele mi serviranno entrambe le monete, nonostante il valore nominale di ciascuna sia sempre un tallero: il prezzo delle mele è raddoppiato, ma non il loro valore reale. Tagliare il valore dell’attivo che sostiene la moneta ne riduce quindi il valore di scambio e genera inflazione.
Le vicende del Banco di cambio
Nel 1609 la città di Amsterdam istituisce il “Banco di cambio di Amsterdam” proprio con l’obiettivo di “ripulire” le monete svilite in circolazione. Il Banco raccoglie in deposito monete metalliche e lingotti e in cambio iscrive sul proprio libro mastro un credito, valutato sull’effettiva quantità di metallo prezioso depositato e denominato in “fiorini di banco”. Le monete raccolte vengono fuse e riconiate, con il corretto contenuto di metallo prezioso, in “fiorini correnti”, che rimangono in custodia (insieme ai lingotti) come unica posta dell’attivo del Banco e possono essere riacquistati pagando una commissione. Il “fiorino di banco” viene invece usato, senza costi, per regolare transazioni commerciali dentro il Banco, trasferendo credito dal compratore al venditore con semplici scritture contabili: il primo esempio compiuto di moneta fiduciaria si diffonde come unità di conto e valuta di riserva in gran parte d’Europa.
Ancor più interessante è che lo statuto del Banco stabilisce che tutti i suoi profitti siano dovuti alla città di Amsterdam, ma nulla prevede in caso di perdite; d’altronde, esclude la possibilità di estendere prestiti a terzi, da cui possano derivare perdite. Senonché il Banco, con discrezione, comincia a concedere prestiti alla Compagnia olandese delle Indie Orientali (sponsorizzata anch’essa dalla città di Amsterdam e responsabile dei commerci con le colonie) per esigenze di liquidità derivanti dall’asincronia tra navi in partenza (vuote) e in arrivo (piene), e dai quali derivano ingenti profitti che il Banco trasferisce alla città. Quando però scoppia la IV guerra anglo-olandese, nel 1780, la Compagnia subisce gravi perdite, che copre con nuovi prestiti e trasferisce così sul bilancio del Banco: la notizia dell’indebita attività di prestito si diffonde e i riacquisti di “fiorini correnti” aumentano, impoverendo ulteriormente l’attivo di bilancio e rendendo il patrimonio netto negativo. Di fronte alle insufficienti ricapitalizzazioni da parte della città, e alla sua mancata rinuncia al diritto ai profitti futuri, il “fiorino di banco” si svaluta pesantemente, vittima di una fuga dal suo uso come mezzo di pagamento a favore della sterlina inglese, fino a lasciare definitivamente la scena quando, nel 1819, il Banco viene liquidato.
È utile un confronto proprio con la Banca d’Inghilterra di quegli anni, che nasce nel 1694 con lo scopo precipuo di raccogliere sterline d’oro e d’argento da prestare al Tesoro di Sua Maestà per finanziare la guerra con la Francia. In cambio dei depositi emette “note di banca” denominate in sterline, e tiene nel suo attivo di bilancio le obbligazioni fruttifere emesse dal Tesoro. Questo crea un legame diretto tra la solvibilità del Tesoro (che ha accesso alla tassazione) e la qualità dell’attivo della Banca d’Inghilterra, a sostegno del valore delle “note”.
Sarebbe utile riflettere sulle suggestioni che lo sguardo al passato offre sull’idea di cancellare il debito. Lo faremo in un prossimo articolo.
(Foto di Zach Taiji su Unsplash)