handicap
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Un articolo di Simone Fanti per il Club de La Lettura fa il punto della situazione su un genere letterario che sta conoscendo un’interessante evoluzione: il racconto della disabilità. Liberandosi progressivamente dal politically correct, la narrativa contemporanea sta riuscendo a restituire al lettore la quotidianità dell’handicap.

Diari intimi che diventano libri, sfoghi catartici, racconti empatici accolti con favore da un pubblico sempre più vasto. Come Alla fine qualcosa ci inventeremo di Gianluca Nicoletti, che dialoga con il mondo e con l’autismo di suo figlio o Se Arianna di Anna Visciani che raccoglie le emozioni di famiglia e la vita con la figlia cerebrolesa. O come Dopo di te di Simona Atzori la ballerina priva degli arti superiori (già tra i protagonisti di E li chiamano disabili di Candido Cannavò), che racconta le sue paure dopo la morte della madre.

Un filone che prende il via dalla medicina narrativa, dalle esperienze, spesso autobiografiche, dei malati e dei loro percorsi di cura. I manuali teorici sulla disabilità tornano nelle mani degli esperti, sostituiti sui comodini di casa dalle storie pulsanti di emozioni, di dolori e di piccole o grandi gioie. La voglia di comprendere dei lettori – al di là della comunicazione frammentata dei nuovi media – s’incontra con la volontà e la necessità di condividere l’esperienza degli autori divorati dall’urgenza di scrittura. Come se scrivere rendesse più affrontabile la sfiancante lotta che, giorno dopo giorno, prosciuga la vitalità.

«Quando le forze stanno esaurendosi, il dolore e lo sconforto stanno per prendere il sopravvento, nasce dentro di noi una disperata estrema energia, che alleggerisce la stanchezza e tiene a freno, per un po’, il terribile senso di impotenza che ci accompagna nell’impari lotta contro il decorso inesorabile della malattia»: lo scrive Anna Visciani in Se Arianna, un diario scritto a otto mani da tutta la famiglia di Arianna, 23enne nata prematura e cerebrolesa (di cui si è parlato sulle pagine Tempi liberi del Corriere sabato 15 novembre). «La mia vita era tanto cambiata, e le esperienze che avevo fatto così pregnanti – prosegue Visciani – da rendere quasi incontenibile l’urgenza di mettere nero su bianco quanto è accaduto. Scavare nel profondo della tua coscienza non è facile… ricordare ed elaborare le sofferenze, le disillusioni e le frustrazioni è stato per me faticoso e molto doloroso».

Quattordici anni di disabilità vissuta, e tre di quella raccontata nel blog del Corriere, Invisibili, mi dicono che la disabilità è un mostro che entra nell’intelletto e cannibalizza l’anima, che vive con te ogni momento. Non ci si prende una pausa dalla disabilità, non si va in vacanza da lei, non esiste un’uscita di sicurezza. È un blob che avvolge tutti i componenti della famiglia. E, a cascata, vicini, amici e parenti. Tutti ne abbiamo avuto un esempio: un italiano su 20 è “portatore sano” di disabilità (dati Istat), soprattutto oggi che, con l’allungarsi dell’aspettativa di vita, hanno fatto la loro comparsa demenze senili, Alzheimer e Parkinson.

Ma i diari non sono mai mancati. Mario disabile superabile di Germano Turin, per esempio, o Una vita possibile di Paolo Belluzzo o Più forte del destino di Antonella Ferrari, che risalgono a qualche mese fa. Qualcosa è però cambiato, soprattutto dopo il libro Zigulì di Massimiliano Verga che con crudezza che colpisce dritto allo stomaco grida di suo figlio con una disabilità intellettiva. Bando al politically correct, al pietismo, il linguaggio si fa ruvido, la lingua si piega alla cronaca della quotidianità, ma lascia trasparire un mondo carico di dubbi e di paure, di rinunce e di felicità, di consapevolezza del valore delle cose e di piccoli gesti che diventano i Gesti. Ovvero le imprese che cancellano o nascondono la disabilità agli occhi degli altri (e un po’ anche a se stessi). Come quella di Laura Rampini, la prima paracadutista al mondo con paraplegia (non muove gli arti dal busto in giù) raccontato in Nessuna barriera tra me e il cielo. O la traversata a nuoto da Napoli a Capri di Monica Priore (Il mio mare ha l’acqua dolce), prima ragazza in Europa con diabete di tipo 1 a sfidare e vincere il braccio di mare di venti chilometri.

Sono imprese non fini a se stesse, ma volte ad aiutare chi si trova immerso nello stesso problema. Vittorie, e libri, che significano tanto per molti… «All’arrivo – scrive Priore – la riva brulicava di giornalisti e di diabetici più o meno giovani. Ho notato una bimba piccolissima in braccio alla sua mamma: era la più piccola microinfusa d’Italia. Ho pensato che per lei sarebbe stato tutto diverso, e non solo perché la ricerca e la tecnologia medica avevano fatto passi da gigante rispetto a quando io avevo la sua età, ma perché lei aveva visto che cosa era possibile fare».

Esempio e conoscenza, ecco in ultima analisi, la base del successo editoriale di questi libri. Spesso non è la disabilità a costituire la più grande barriera, bensì il pregiudizio e l’ignoranza: «Il più grande deficit di Gianni (con tetraparesi spastica dalla nascita) è sicuramente avere un cervello funzionante. La piena consapevolezza di ciò che accade intorno a noi – scrive Luigi Falco, autore con Gianni Baini del libro Al di là del cielo – è una tortura quando ci si rende conto dell’ipocrisia e del convenzionalismo. Siamo pronti a diventare giudici solo apparentemente imparziali per celare il nostro orgoglio. Il diverso diventa allora l’occasione di un contraddittorio: un ideale mostro feroce da sgominare, da battere, da schivare».

Forse basterebbe imparare da chi bimbo lo è per volontà della natura. Come Ricky. «Quando sei bambino – scrive Giancarlo Della Libera, autore di Ricky, diversamente amabile e cognato di Riccardo con sindrome di Down – sei te stesso, spontaneo e genuino. Poi crescendo il nostro modello di società t’insegna che i vincenti sono i più forti, i più ricchi e i più potenti. Impari a nascondere il lato più sensibile e tenero della tua anima, sino a confinarlo in un angolo remoto… Non sai più pronunciare le parole “ti voglio bene”, ti controlli quando avresti voglia di abbracciare tuo padre. Questa è la parte migliore di noi e l’abbiamo cancellata. Ricky è rimasto quel bambino che è ancora in tutti noi, ma che non riusciamo più a incontrare».