di Federico Caruso

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Per vari motivi, professionali e non, negli ultimi tempi chi scrive sta sperimentando l’importanza sempre più vitale di avere un “like” in più sulle pagine Facebook che gestisce (ma anche sul profilo personale, ché i due piani si intrecciano ben volentieri sul celebre social network). Sembra che ogni cosa, per succedere davvero, debba passare per di là. Basta leggere i titoli dei giornali. Sempre più spesso il fatto che un video, un post o un’immagine abbiano ottenuto migliaia di like in pochi minuti diventa di per sé una notizia. Anche se, nel mondo reale, non è successo assolutamente nulla. Ma c’è ancora una distinzione tra mondo reale e social network? O il secondo è un prolungamento del primo? Si condividono con disinvoltura vecchie foto, oppure quelle nuovissime dei figli piccoli, si linkano articoli e pagine web che poi l’algoritmo di Facebook penserà a indicizzare per offrire all’utente un flusso di notizie personalizzato. Questo flusso è determinato dalle sue scelte, che si riducono sostanzialmente a un’azione (o al suo contrario): mettere like, oppure ignorare il contenuto proposto.

Interessante, in questo senso, l’esperimento condotto dal redattore dell’edizione statunitense di Wired, Mat Honan, che per due giorni ha provato a mettere like su tutto ciò che Facebook gli proponeva. Ne viene fuori un racconto un po’ surreale in cui il profilo del giornalista è presto invaso da annunci commerciali, che arrivano a soppiantare le notizie degli amici, nonché da annunci politici di gruppi di estrema destra o di estrema sinistra. Inoltre, la sua iperattività arriva a riflettersi sui profili dei contatti, che improvvisamente si trovano subissati di segnalazioni in cui si dice loro che l’amico Mat ha messo like su questo, questo e quest’altro. Tanto che qualcuno arriva a chiedergli: «Ma hai subito un attacco hacker?».

Al di là delle esagerazioni, in questo imperversare di like mi sembra di scorgere un progressivo raffreddamento delle emozioni, come se l’onnipresente bottone facebookiano avesse soppiantato la parola love. In italiano il discorso non cambia, perché il mi piace ha una “temperatura” emotiva di sicuro inferiore al verbo amare. Ma non c’è scelta, così se io amo la musica classica non posso dirlo, posso solo affermare che mi piace. Se amo profondamente e visceralmente l’opera di un artista, o la frase scritta da qualcuno, o la foto della persona che amo (appunto), posso solo dire che mi piace. Niente di apocalittico in tutto questo, per fortuna fuori da Facebook possiamo ancora usare le parole che vogliamo, ma è indubbio che la continua esposizione a questo tipo di linguaggio qualche conseguenza l’avrà sulle nostre vite e sull’evoluzione del nostro modo di esprimerci.

Complice forse una leggera influenza pre natalizia, oggi sono stato colto da un’immagine surreale. Mi sono chiesto cosa succederebbe se a tutte le canzoni d’amore (ma lo stesso si potrebbe fare con i film, i libri e le poesie) sostituissimo alla parola love la parola like. Il risultato sarebbe esilarante. Per esempio, se Stevie Wonder avesse intitolato uno dei suoi pezzi più famosi I just called to say I like you, l’effetto sarebbe stato ben diverso. Il brano inizia con una serie di immagini malinconiche, con il protagonista che si rende conto di non avere nulla da festeggiare, nessuna ricorrenza che valga la pena celebrare o ricordare. Ha solo voglia di chiamare la sua bella per dirle: «Mi piaci, te lo dico dal profondo del mio cuore». La donzella in questione si sarebbe fatta una grassa risata di fronte a tanta mitezza.

Che dire invece della frivola leggerezza della Love me tender cantata da Elvis Presley. «Like me tender, like me sweet, never let me go. You have made my life complete, and I like you so». Qui lei gli piace molto, e basta questo a completare la sua vita. Si vede che era già piuttosto soddisfatto, oppure si accontenta di poco. Anche la “panteistica” All is full of love di Björk assume contorni piuttosto curiosi se rielaborata come All is full of like: «Guardati attorno, è tutto intorno a te, tutto è pieno di like, tutto intorno a te». Quasi inquietante immaginarsi circondati da bottoni con la tipica manina blu dal pollice alzato. Per andare su un pezzo più noto, la compianta Whitney Houston ci ha lasciato un brano a cui chiunque ha legato almeno un ricordo. Già, ma come suonerebbe la sua hit se si intitolasse I will always like you? Nell’ultima strofa, lei augura al suo uomo di realizzare i propri sogni: «And I wish you joy and happiness. But above all this I wish you like». Lasciarsi così, con la speranza che lui metta molti like, mamma mia quanta tristezza. Si potrebbe continuare così all’infinito. Se vi va (o come si direbbe in inglese: if you like), esercitatevi anche voi in questo gioco, scoprirete aspetti nuovi di canzoni che pensavate di conoscere come le vostre tasche.