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Martedì 5 maggio è stata la giornata mondiale per l’igiene delle mani degli operatori sanitari. Può sembrare una banalità, ma il semplice gesto di lavare le mani spesso durante le attività professionali quotidiane può essere decisivo per contrastare la diffusione di batteri e infezioni. Della questione abbiamo già parlato su ZeroNegativo a ottobre 2014, quando si celebrava una ricorrenza simile, ma rivolta all’igiene delle mani come prassi importante per tutti ogni giorno. La giornata di martedì (e in questo alcuni giornali hanno fatto un po’ di confusione, confondendola con l’altra) è invece incentrata su chi opera in ambito sanitario e quindi ha una responsabilità non solo verso se stesso, ma soprattutto sulle tante persone con cui entra in contatto ogni giorno.

Come spiegavamo nell’articolo precedente, l’abitudine di lavare le mani tra una visita e l’altra è una procedura relativamente recente, nata grazie all’intuizione di un medico ungherese, Philipp Semmelweis. Questi non fece una bella fine, giacché i colleghi non apprezzarono che qualcuno osasse insinuare che le loro mani, che tante conoscenze scientifiche racchiudevano, potessero essere foriere di morte al solo contatto. Ma i fatti dimostrarono che Semmelweis aveva trovato un modo semplice e gratuito di salvare migliaia di vite umane e, in seguito a studi scientifici che comprovarono la bontà dell’intuizione, il lavaggio delle mani divenne un caposaldo del lavoro in ospedale dalla fine dell’Ottocento.

Ma il problema non è del tutto superato, perché, una volta stabilito che lavare le mani è importante, diventa altrettanto decisivo sapere come farlo nella maniera più efficace per impedire ai batteri di proliferare. Su Repubblica del 3 maggio è comparsa un’interessante intervista a Fabio Tumietto, medico infettivologo del policlinico Sant’Orsola di Bologna, che si occupa proprio di questo all’interno della struttura. «Nel 2014 – racconta – abbiamo registrato 0,4 infezioni ogni 10mila pazienti rispetto alle 3 ogni 10mila di prima: se considera che ogni anni al Sant’Orsola vengono ricoverati tra gli 80 e i 90mila pazienti, capisce l’enorme passo avanti: quasi azzerate». Già questi numeri rendono l’idea di quanto sia solo in apparenza banale la prescrizione: «Dall’eseguire una lastra al sistemare un letto al fare una visita in ambulatorio, il medico tocca il paziente con le mani. Il malato è cosparso di germi, e l’obbiettivo è abbatterli per non passarli ad altre persone ricoverate». Visto l’ambiente particolare in cui operano i professionisti della sanità, non basta il normale sapone a garantire sicurezza: «L’ideale è una soluzione idroalcolica (una sorta di gel, ndr), attraverso dei flaconi appesi in corsia».

Se la questione è di fondamentale importanza nei nostri ospedali per ridurre a zero le possibilità di contaminazione, si può immaginare quanto determinante possa essere in Paesi in cui i livelli assistenziali sono più bassi e dove si combatte contro un’epidemia mortale come quella di Ebola. In Sierra Leone, l’Oms (Organizzazione mondiale per la sanità) sta facendo un importante lavoro per diffondere la cultura dell’igiene delle mani. Uno dei problemi da fronteggiare è la mancanza di acqua corrente. Come dice il medico locale Komba Songu-Mbriwa, «sempre più colleghi del settore sanitario capiscono l’importanza di lavare le mani. Ma al di là della comprensione, dobbiamo metterli nella condizione di potersi pulire le mani con facilità. Una cosa è ripetere continuamente “lavati le mani”, ma che fare quando manca l’acqua corrente?

Per tutti gli operatori sanitari, ma anche per i pazienti che giustamente vogliano vigilare sulla correttezza delle prassi del personale sanitario dal quale sono assistito, segnaliamo un utile opuscolo pubblicato sul sito del Ministero della salute.