Trascorso da pochi giorni il termine ultimo per la raccolta delle proposte da inviare al governo in merito alla riforma del terzo settore, raccogliamo altre riflessioni (dopo quelle di Carlo Mazzini) sulla questione. Stavolta si tratta di Alessandro Messina, economista, che sul suo blog riprende alcune questioni relative innanzitutto alle modalità con cui il governo ha invitato gli operatori del terzo settore a partecipare alla redazione del testo di riforma che sarà elaborato in questi giorni. Come ricorderete, il governo pubblicò a maggio una serie di “linee guida” e fornì un indirizzo di posta elettronica al quale far pervenire le osservazioni di aziende e associazioni. Tutto qua. «Nel 2014 – commenta Messina – una consultazione pubblica che non si basi su un articolato definito ma su dei principi guida, delle enunciazioni generali e generiche, quale è il testo pubblicato dal Governo, non può essere realizzata semplicemente mettendo a disposizione una casella di posta elettronica a cui scrivere. Si trasferiscono così sulla consultazione significativi problemi di metodo ed efficacia nella gestione dei contenuti: chi leggerà ogni singola email? chi ne tradurrà in termini statisticamente aggregabili i messaggi? chi garantirà che in questo processo non si annacquino contributi specialistici, tecnici, inevitabilmente multidisciplinari in una materia tanto vasta?».
Si può aggiungere, a voler essere puntigliosi, che la vaghezza della modalità scelta per mettere in comunicazione non profit e politica rispecchia quella delle proposte del governo, che evitano di scendere nel merito delle questioni, preferendo suggerire generiche direzioni da prendere, senza specificare come e in che misura. Tra le varie critiche sollevate da Messina, riprendiamo quella sull’impresa sociale: «Qui entrerà in pista la proposta Bobba-Lepri, di cui già si è scritto. Certamente, se inserito in un contesto organico di riforma, il testo potrà guadagnare efficacia e superare alcune delle attuali criticità. Resta la questione dirimente di un approccio radicale all’imprenditorialità sociale: se tutto ciò che è “minimamente” economico deve essere equiparato all’impresa, si rischia veramente di uccidere in culla tanti esperimenti di “economia alternativa”. C’è da augurarsi che si stemperi questa visione, lasciando lo spazio – tra il puro volontariato e l’impresa sociale vera e propria – per una zona di “sperimentazione” di pratiche economiche alternative, orizzontali, di auto-organizzazione». Speriamo davvero che ci sia questa apertura, che potrebbe dare spazio a forme nuove di impresa in grado di dare slancio all’economia.
Sembra, a guardare le strategie del governo in merito alle riforme, che ci sia un misto di entusiasmo e prudenza, di voglia di rinnovamento ed esitazione. Forse, in qualche caso, dovuta anche a una non completa padronanza della materia affidata ai vari dicasteri. Per esempio, riferisce Carlo Mazzini in un recente post, pare che il sottosegretario del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Luigi Bobba, abbia scoperto recentemente che nel conto del 5 per mille sono finiti anche alcuni circoli di golf. Chi ce li ha messi lì? Semplice, fa notare Mazzini: la legge. Quella che bisogna conoscere, prima di pensare di modificare.