di Paola Tursi*
Nell’ambito di alcune ricerche sul disturbo da accumulo, mi sono imbattuta in un programma televisivo britannico molto controverso intitolato “Malati di Pulito”. Il format prevede di contrapporre una persona con un disturbo ossessivo compulsivo a un accumulatore e fare in modo che l’uno aiuti l’altro a uscire dalla propria condizione patologica.
Questo programma, al tempo stesso curioso e preoccupante, mi ha spinto ad approfondire il tema.
Per comprendere i soggetti protagonisti (qui una puntata del programma) ho chiesto aiuto al dottor Alessandro Marcengo, psicoterapeuta del Centro clinico Crocetta di Torino, la cui esperienza professionale è focalizzata sui disturbi ossessivo compulsivi e sul disturbo da accumulo.
«Il disturbo da accumulo, conosciuto anche come “disposofobia” o “hoarding”, è un disturbo con criteri propri inserito dal 2013 nel Dsm-5, il manuale diagnostico dei disturbi mentali. I disposofobici da un lato tendono ad acquisire in modo continuativo nuovi oggetti, mentre dall’altro hanno difficoltà a gestirli ed eventualmente ad eliminare quelli inutilizzati. Ciò determina nel tempo un particolare scadimento del proprio spazio abitativo e della propria qualità della vita. La tendenza, in un certo senso opposta, a liberarsi compulsivamente degli oggetti, chiamata “compulsive spartanism” o “clutterfobia”, è invece propriamente una manifestazione di disturbo ossessivo compulsivo spesso collegata appunto a compulsioni di ordine e simmetria».
I protagonisti del programma presentano anche vari altri sintomi come la necessità di pulire per lunghe ore le proprie abitazioni oppure di dover compiere dei rituali come accendere e spegnere la luce per un determinato numero di volte prima di passare da una stanza all’altra.
«L’aspetto più esteriore del disturbo ossessivo compulsivo – continua Marcengo – è infatti dominato da comportamenti compulsivi e rituali finalizzati a ridurre il disagio generato da pensieri intrusivi e particolarmente preoccupanti per la persona. In alcuni pazienti questo si traduce nel dover eliminare qualsiasi aspetto di disordine, di presunta sporcizia o di imperfezione dalla propria casa», dando vita di fatto a uno scenario minimale.
Molti spettatori commentano le puntate dichiarando di desiderare un amico o un parente con questo disturbo per avere finalmente una casa impeccabile. Si può quindi ritenere che sia un servizio utile?
Ci sono due destinatari potenziali per questa prestazione: persone qualunque che avrebbero bisogno di una mano a sistemare i loro spazi e gli accumulatori, che infatti rappresentano la controparte del programma.
Proviamo a ipotizzare il primo scenario. Subito dopo l’intervento di un ossessivo del pulito o di un clutterfobico la casa sarebbe splendente. Ma se mano mano gli inquilini non trovassero più le loro cose, perché riposte secondo criteri del tutto incomprensibili per loro, l’effetto “wow” potrebbe svanire dopo poco.
Magari gli oggetti sarebbero disposti in un ordine perfetto, in sequenza alfabetica, o in ordine di colore, ma non per forza in modo funzionale per il fruitore. In effetti, le persone avrebbero piuttosto bisogno di imparare un metodo pratico, qualcosa che risulti applicabile e replicabile nella loro vita quotidiana, non di assecondare le necessità di ordine di un’altra persona!
È proprio questo che fa un Professional Organizer: aiuta le persone a trovare un proprio metodo organizzativo che sia facilmente attuabile e soprattutto che sia in linea con le loro necessità, senza imporre il proprio modo di fare le cose.
E far entrare una persona ossessionata dall’ordine a casa di un accumulatore?
Sicuramente chi si trova sepolto in casa da anni di oggetti accumulati ha bisogno di aiuto, ma esporre queste persone a un potenziale trauma emotivo non è certamente la soluzione più adeguata.
Spiega Marcengo: «Contrapporre due comportamenti, o meglio due sintomi di un disturbo sottostante, come se uno potesse annullare l’altro è un’operazione oltreché deprecabile sul piano etico, molto rischiosa e decisamente non terapeutica per i pazienti. Entrambi i disturbi sono fonte di grande sofferenza per chi ne è coinvolto e l’unica strada terapeutica è quella dei trattamenti cognitivo-comportamentali eventualmente abbinati ad un supporto farmacologico. Non basta forzare le persone, sono necessari strumenti terapeutici ad hoc in grado di agire sui meccanismi che mantengono il disturbo».
Insomma, la “rimozione dell’accumulo” operato da estranei non solo non risolve il problema, ma potrebbe acuirlo, generando ulteriore sofferenza nell’accumulatore.
I pazienti disposofobici seguono un percorso di terapia che li porta pian piano a fronteggiare autonomamente le manifestazioni di accumulo. Nei casi in cui la terapia abbia avuto un buon esito e sia necessaria una fase di mantenimento, il paziente può essere affiancato anche da un Professional Organizer che si occuperà di trasmettere quelle abilità organizzative che in queste persone sono spesso carenti.
Se gli effetti di questo programma sono devastanti sugli accumulatori, potrebbero invece valere come terapia d’urto per i pazienti ossessivo compulsivi? Purtroppo no, perché in questo modo il loro disturbo viene solamente rinforzato.
La tecnica terapeutica che attualmente risulta di elezione per i disturbi ossessivo compulsivi è il protocollo Erp, “Esposizione con Prevenzione della Risposta”.
In sostanza si tratta di «esporre la persona alla situazione che genera ansia e allenarla progressivamente a “resistere” alla risposta automatica di tipo compulsivo che metterebbe in atto, facendola così man mano estinguere» – spiega Marcengo.
Insomma l’esatto opposto di quello che si vede in tv.
Avere la casa sempre in ordine, sgombera e pulita è un desiderio di molti. Liberarsi degli oggetti superflui è una pratica virtuosa che ci rende più consapevoli dei nostri spazi e degli oggetti che possediamo. I declutterer e i pulitori compulsivi riescono ad ottenere risultati impressionanti nelle loro abitazioni. Qual è, tuttavia, il confine tra un impulso sano e la patologia?
A differenza dei casi di “hoarding”, in cui la persona ha un certo piacere nell’accumulo e con fatica si convince della necessità di liberarsi delle cose, nel disturbo ossessivo compulsivo le compulsioni ed i rituali ad esempio di pulizia sono sempre percepiti come costrittivi, come qualcosa che non si vorrebbe fare ma che si è invece costretti a fare.
In sostanza, la persona pulisce, ordina, butta perché ha una forte leva interna nel farlo, ma senza realmente desiderarlo. La differenza tra i normali pensieri intrusivi e le ossessioni patologiche sta nella frequenza con cui si manifestano e quanto pesantemente interferiscono nella vita quotidiana impedendone il normale svolgimento.
Da questa incontrollabile spinta interna, infatti, scaturiscono spesso situazioni paradossali: i clutterfobici si liberano anche di quegli oggetti di cui hanno un reale bisogno, come mobili ed elettrodomestici, e sono costretti a ricomprarli più volte. Queste persone non vogliono necessariamente buttare le loro cose, ma stanno peggio se non lo fanno.
Perdere costantemente tempo, soldi e compromettere relazioni per placare un’ansia che presto si ripresenterà è una condanna da girone infernale.
Eppure basterebbe “solo” la capacità di accettare un po’ di sano disordine.
* Paola Tursi è una professional organizer, membro dell’Associazione professional organizers Italia