Luca Landò, giornalista e microbiologo, ha scritto un libro in cui l’Italia è descritta come un corpo che ha bisogno di essere curato. Proprio come un essere umano, se certi acciacchi si affrontano subito li si può debellare senza grossi sforzi, ma se si esita troppo a cominciare la terapia i problemi aumentano. Allo stesso modo l’autore analizza i problemi del nostro Paese. Proponiamo la recensione del suo libro La cura. Se l’Italia fosse un corpo umano, scritta da Paolo Bricco per la Domenica del Sole 24 Ore.
Il metodo è assolutamente originale. La costruzione del libro è convincente. Quante volte consideriamo il nostro Paese – la nostra economia, la nostra società, in fondo anche noi stessi – un organismo malato? Luca Landò è l’autore del volume La cura. Se l’Italia fosse un corpo umano. Landò è un intellettuale diviso fra la dimensione del giornalista – è stato al Giornale Nuovo e alla Voce con Indro Montanelli, alla rivista Linus con Oreste del Buono e poi all’Unità, che ha diretto fra il 2013 e il 2014 – e l’attività da neurobiologo cellulare (ha lavorato alla University of California di Berkeley ed è membro della Society for Neuroscience e della Biophysical Society).
Landò ha, dunque, le carte in regola per sostanziare la metafora della patologia organica per il nostro esausto e sfibrato Paese. Scrive Landò: «Se l’Italia fosse una donna (ma anche un uomo o un ragazzo, pure una bambina, fate voi), andrebbe ogni tanto dal medico. Perché la salute è preziosa, lo dicono tutti. E le cose preziose, anche questo lo dicono tutti, vanno trattate con attenzione. L’Italia non è una donna (o nemmeno un uomo o una bambina, se è per questo) ma è malata da anni, anzi da decenni. E per anni e decenni ha fatto finta di nulla, nascondendo a se stessa, prima che agli altri, sintomi che di mese in mese si facevano sempre più gravi. Il risultato è che la sua malattia ha tutta l’aria di essere diventata cronica: speriamo non lo sia, ma certamente quello che si sarebbe potuto curare senza troppa fatica un po’ di tempo fa è oggi un male delicato da affrontare e difficile da debellare».
Nella semplicità, iniziale, dell’immagine si esplicita il senso del libro e il senso della ragionevolezza del suo metodo: «Il raffreddore si è trasformato in una polmonite. E siccome le disgrazie non arrivano mai da sole, siamo pure rimasti senza antibiotici, perché quelli che avevamo in casa sono scaduti e non funzionano più. Ci vuole qualcosa di nuovo, di diverso. Di efficace. Ma il punto è proprio questo: esiste ancora qualcosa di nuovo, di diverso, di efficace?». La domanda è fondamentale. La situazione è sia grave che seria. Prendiamo le ultime pagine del libro. Sono tredici gli indicatori che compongono la «cartella clinica del malato Italia»: andamento del Pil, disuguaglianza economica, disoccupazione generale, disoccupazione giovanile, livello dell’occupazione, occupazione femminile, povertà minorile, incidenza dei laureati fra chi ha fra i 30 e i 34 anni, spesa pubblica per l’educazione terziaria, quota dei laureati che a tre anni dalla discussione della tesi hanno un lavoro, investimenti in ricerca, dipendenza energetica e trasformazione digitale del Paese. Già la sola sequela di questi indicatori appare impressionante. E, in qualche maniera, già questo contribuisce a decostruire il ragionamento artatamente ottimistico che una parte (trasversale) della classe dirigente italiana ha proposto nel discorso pubblico, a partire dalla fine degli anni ’90, in merito alle reali condizioni di salute dell’Italia. Secondo questo ragionamento vagamente panglossiano, la condizione italiana non sarebbe stata quella della patologia. Il Paese, invece, si sarebbe trovato in una condizione così particolare che gli strumenti di misurazione ordinari – quelli degli economisti e dei sociologi, degli storici e degli scienziati della politica – non avrebbero avuto validità.
Dunque, il problema sarebbe stato il termometro e non sarebbe stata la febbre. Soltanto che, adesso, appare sotto gli occhi di tutti che il problema è proprio la febbre: gli indicatori che crescono dello zerovirgolaqualcosa, il sistema industriale cristallizzato nella bipolarizzazione 20-80 (il 20 per cento delle imprese che sviluppa l’80 per cento del valore aggiunto e a cui si deve l’80 per cento dell’export), l’eterna transizione italiana che si sostanzia nell’incapacità di sciogliere nodi strutturali quali il costo dell’energia (un terzo in più della media europea) e l’esasperante durata dei processi della giustizia civile, la barbarie di chi inquina il mercato e dice sfrontatamente ai colleghi e ai clienti “fammi pure causa”, l’illegalità diffusa come stile di vita che fa il paio con il rassegnato disincanto di chi invece paga le tasse, chiede e rilascia scontrini, avanza richieste o lavora negli uffici pubblici senza propinare o domandare mance e mancette. Prendiamo l’ormone della crescita: «Diciamo subito – scrive Landò – che si tratta di una molecola complessa e difficile da replicare, questo per avvertire che è bene diffidare di quelli che promettono effetti miracolosi in poco tempo e, a volte, addirittura di un solo ingrediente. Come tutti sanno, a questo punto per far ripartire l’economia non basta tagliare l’Imu, ridurre le imposte di successione, persino condonare abusi edilizi ed elusione fiscale». Un libro triste, curioso e interessante.
(Foto di Hush Naidoo su Unsplash)