L’Italia, conosciuta per le sue ricche tradizioni culinarie, deve affrontare un problema crescente: l’aumento dello spreco di cibo. Il problema non è solo italiano: a livello globale, un terzo di tutto il cibo prodotto non viene mai consumato. Secondo i dati contenuti nel libro How the world eats, di Julian Baggini – di cui il Guardian ha pubblicato un estratto – ogni persona in Italia butta via in media 683,3 grammi di cibo a settimana, con un aumento del 45,6% rispetto all’anno precedente. Ciò equivale a circa 35,5 kg di cibo sprecato pro capite ogni anno. In prospettiva, ciò equivale a scartare la carne di circa 1.298.000 vitelli ogni anno.
Questa tendenza contraddice i valori di rispetto per il cibo spesso associati alle società tradizionali, scrive Baggini. In queste comunità, lo spreco di cibo è considerato un tabù e ogni parte commestibile di una pianta o di un animale viene utilizzata. Tuttavia, l’abbondanza e l’accessibilità del cibo nelle moderne società industrializzate hanno portato a uno scollamento tra produzione e consumo, rendendo lo spreco meno visibile e le sue conseguenze meno immediate.
Secondo uno studio di 2024, citato in un articolo pubblicato sulla testata online Atlante, di Treccani, il motivo principale portato dagli italiani per motivare gli sprechi è la scarsa qualità di frutta e verdura, che si deteriora rapidamente dopo l’acquisto (42%). Molti trovano anche cibi preconfezionati già rovinati al momento dell’apertura (37%) e altri ammettono di dimenticare il cibo in frigorifero (37%). Inoltre, l’ansia per la scarsità di cibo spinge a comprare troppo (32%), mentre le offerte del supermercato contribuiscono all’eccesso di acquisti (32%).
Proprio le fondamenta della cosiddetta “dieta mediterranea” – frutta, verdura, pane e insalata fresca siano tra gli alimenti più sprecati in Italia. Questo non è solo un onere finanziario per le famiglie, ma solleva anche preoccupazioni sulla qualità del cibo acquistato e una mancanza di consapevolezza sulla gestione del cibo.
Andrea Segrè, direttore scientifico di Watcher International, ha sottolineato la necessità di un intervento istituzionale nell’ambito dell’educazione alimentare, evidenziando l’importanza di educare gli italiani a un migliore utilizzo degli alimenti, che comprenda tecniche di conservazione e acquisti pianificati. L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, un piano d’azione globale adottato dagli Stati membri delle Nazioni Unite, chiede di dimezzare lo spreco alimentare pro capite a livello di vendita al dettaglio e di consumo entro il 2030. Questo ambizioso obiettivo richiede sforzi concertati da parte di governi, aziende e singoli individui.
Le strategie per combattere lo spreco alimentare in Italia possono trarre ispirazione da iniziative di successo in altri Paesi. La notevole riduzione dello spreco alimentare in Danimarca, guidata da una combinazione di campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, collaborazioni con i rivenditori e l’eliminazione degli sconti sulle merci sfuse, può servire da esempio. Semplici cambiamenti, come la vendita delle banane singolarmente e l’utilizzo di una comunicazione chiara che incoraggia i clienti ad acquistare singoli articoli, hanno ridotto significativamente i rifiuti nei supermercati danesi.
Inoltre, la promozione dei principi dell’economia circolare può permettere ai consumatori di fare scelte consapevoli, ad esempio optando per prodotti riciclabili, riparabili e riutilizzabili, riducendo gli acquisti impulsivi e adottando modelli di sharing economy per ottimizzare l’utilizzo delle risorse.
(Foto di Kostiantyn Li su Unsplash)
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