«Le norme che consentono la reclusione negli opg (ospedali psichiatrici giudiziari) risalgono al codice penale emanato nel 1930 dal regime fascista. Due sono i requisiti perché il giudice disponga una misura di sicurezza detentiva in sostituzione o in aggiunta alla pena: la commissione di un reato e la pericolosità sociale. Chi viene reputato socialmente pericoloso, cioè si ritiene probabile che commetta nuovamente reati, è sottoposto ad una misura di sicurezza calibrata in base al grado di pericolosità. Le durate delle misure di sicurezza sono di due, cinque o dieci anni. Prorogabili teoricamente all’infinito». Sono le note che si leggono nel pressbook del documentario “Lo stato della follia”, presentato ieri al Bari international film festival.
La scadenza del 31 marzo, che prevede la chiusura dei sei opg ancora in funzione in Italia, si avvicina e il documentario di Francesco Cordio mostra le immagini di questi luoghi dimenticati dallo Stato, dai mezzi d’informazione, dalle coscienze. Il provvedimento si deve a un parere avanzato nel 2008 dal Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa, a seguito di una visita in uno di questi centri. Da lì l’imbarazzo del governo italiano, che dovette giustificare in qualche modo una situazione non in linea con gli standard di qualsiasi Paese civile. «Nel 2010 la commissione parlamentare d’inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del servizio sanitario nazionale effettua ripetuti sopralluoghi a sorpresa nei 6 opg. “Le modalità di attuazione osservate negli opg lasciano intravedere pratiche cliniche inadeguate e, in alcuni casi, lesive della dignità della persona”». Per le 1500 persone detenute si tratta quindi di un vero e proprio abbandono, dato che non possono avere accesso alle cure di cui avrebbero bisogno. Il testo elaborato dalla commissione diventa legge il 14 febbraio 2012, dove si legge che «A decorrere dal 31 marzo 2013 le misure di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario sono eseguite esclusivamente all’interno delle strutture sanitarie».
Ma alcune regioni non hanno ancora fatto richiesta per l’accesso a queste forme alternative di assistenza, quindi si apre il rischio di una proroga. È quello che teme il comitato StopOpg, che paventa la possibilità che si vada verso un rinvio “in bianco”, quindi senza una nuova scadenza: «Il vero dramma sono le mancate dimissioni e le mancate misure alternative all’opg per centinaia di malati (la maggioranza degli internati) costretti a subire internamento e proroga dell’internamento in opg perché non presi in carico dai servizi di salute mentale delle asl. E ciò accade quando manca un rapporto organico tra magistratura e dipartimento di salute mentale, che permetta l’applicazione di misure alternative all’opg e di cura. Bisogna non solo “svuotare” gli opg ma contrastare l’invio di nuovi internati. StopOpg chiede che qualsiasi decreto di rinvio, che oggi sembra imminente, sia vincolato a precisi impegni, rispettosi delle sentenze della Corte costituzionale (del 2003 e 2004) che hanno “ispirato” le leggi sulla chiusura degli opg». È un appello a cui ci uniamo anche noi, e per cui risulta ancora più importante un film come “Lo stato della follia”, che racconta una realtà che speravamo di veder sparire molto presto, e che invece sembra destinata a infestare ancora il lato oscuro di questo Paese.