
Che non bastasse nascere in Italia, Paese della buona cucina per antonomasia, per avere la certezza di non finire vittima di disturbi legati all’alimentazione, è cosa alquanto ovvia. Ma finire in cima alla lista europea per numero di bambini obesi questo no, non lo davamo per scontato. Secondo il settimo rapporto dell’Istituto auxologico di Milano sull’obesità, infatti, il 36 per cento dei bimbi italiani di otto anni è sovrappeso. Più di uno ogni tre: nessuno nel Vecchio continente è riuscito a fare di meglio. Se pure il dato non può che colpire, in realtà la tendenza a deviare da un’alimentazione corretta è ben radicata nelle famiglie italiane, probabilmente già a partire dal secondo dopoguerra e il successivo sviluppo economico degli anni ’50 e ’60. Anni in cui sono cambiate le abitudini alimentari a livello globale, e in cui anche il nostro Paese non ha saputo resistere alle nuove tendenze. Inoltre è cambiato lo stile di vita nelle città, ci si sposta sempre meno a piedi e sempre più in auto o sui mezzi pubblici, mentre al lavoro si passano sempre più ore seduti. L’attività fisica è confinata a momenti espressamente dedicati, cui non tutti si possono dedicare con costanza. Ma questi ultimi fattori riguardano soprattutto gli adulti. Per i bambini l’attenzione è da rivolgere principalmente al parametro della cultura alimentare. E visto che le scuole hanno appena aperto, due buone notizie ci fanno ben sperare per il futuro.
Innanzitutto la nuova linea di Milano Ristorazione, la società che rifornisce le mense scolastiche del capoluogo meneghino. Quest’anno, dopo numerose proteste e una class action, i menù sono stati scritti col contributo delle famiglie, privilegiando scelte di qualità: «Carote, finocchi e sedano crudi a inizio pasto, farinata di ceci, zuppe di verdura con i crostini, ma anche pizza, gelato, tortellini di carne e bastoncini di pesce. E soprattutto prodotti biologici, se possibile “a chilometro zero”. Basta invece con la frittata gommosa, la pasta alla besciamella, le zucchine surgelate, la carne macinata e il prosciutto cotto ai solfiti». Una scelta esemplare, condivisa dalla nuova dirigenza e che speriamo faccia scuola (è il caso di dirlo) anche nel resto del Paese. Una speranza non vana, dato che in questo senso sono chiare le linee guida del Ministero della salute, quando sollecita a considerare «la varietà e la stagionalità dei cibi, utilizzando anche proposte di alimenti tipici della regione di residenza, per insegnare ai bambini il mantenimento delle tradizioni». I vantaggi di queste misure li elenca il professor Franco Berrino, dell’istituto tumori (e consulente MiRi): «Il nostro obiettivo è ridurre la densità calorica degli alimenti destinati ai bambini limitando i prodotti animali a favore di quelli vegetali, meno nocivi. Un consumo eccessivo di prodotti animali favorisce le malattie cardiovascolari, tumorali, le patologie croniche come diabete, obesità e ipertensione».
Ma l’alimentazione non si impara solo dal vassoio della mensa, e quindi fa piacere leggere dal sito della Coldiretti che nell’anno scolastico appena iniziato, oltre un milione di bambini avrà l’opportunità «di andare a lezione nelle aziende agricole in campagna, dove sono ben 1.189 quelle accreditate come fattorie didattiche in tutte le regioni». Se è vero che otto bambini su dieci non sono mai entrati in una stalla, a vedere da dove proviene e come si ottiene ciò che finisce nei loro piatti ogni giorno, l’intento del progetto appare ancora più chiaro. «Si tratta di una pedagogia attiva dell’“imparare facendo”, attraverso attività pratiche ed esperienze dirette (seminare, raccogliere, trasformare, manipolare), che privilegia il contatto con il vivente attraverso l’incontro con il mondo animale e vegetale».