Che cosa ha comportato il lockdown per gli animali selvatici? Molti articoli si sono soffermati su alcuni aspetti intuitivi riguardanti l’impatto diretto della chiusura delle attività sulla fauna. Generalmente si è notato che gli animali si sono “ripresi i loro spazi”, a causa della minore presenza umana per le strade e gli spazi aperti. Questo è certamente vero, ma c’è anche dell’altro. Uno studio appena pubblicato su Elsevier ha provato a raccontare “The good, the bad and the ugly” (il buono, il brutto e il cattivo, riprendendo il titolo di un celebre film di Sergio Leone) degli effetti del lockdown sulla fauna selvatica, concentrandosi sull’Italia. Come ha raccontato a Scienza in Rete Raoul Manenti, corresponding author del team (tutto italiano) di ricercatori, «Durante il periodo di chiusura generalizzata, sono uscite molte notizie su diverse specie selvatiche avvistate in ambienti urbani: noi abbiamo cercato di capire se si trattasse di animali la cui presenza non è in realtà una novità in alcune aree (per esempio, i cinghiali a zonzo per alcune città italiane non sono infrequenti), oppure di un reale effetto del lockdown. Come primo passo, abbiamo quindi raccolto e analizzato le notizie uscite in questo periodo, riferendoci sia ai social media sia ai giornali e verificando se i fenomeni descritti fossero effettivamente caratteristici; in altre parole, controllando se non si parlasse in realtà di animali che si trovano normalmente nelle nostre strade».

Le cose buone

Una prima parte dello studio ha confermato in parte quanto scritto e condiviso sui media. In effetti è stato osservato che molti animali hanno esplorato nuovi habitat durante il lockdown, normalmente frequentati da esseri umani. Inoltre, alcune specie che normalmente sono attive solo di notte hanno cominciato a esserlo anche durante il giorno, approfittando della maggiore tranquillità. Oltre a volpi e cinghiali, che in certi contesti urbani non rappresentano una novità, si sono visti anche «lupi e ungulati come cervi, caprioli e daini, decisamente più infrequenti», spiega ancora Manenti. Come riporta Anna Romano nello stesso articolo, hanno conquistato spazi anche l’istrice e il fratino euroasiatico (un uccello), «la cui popolazione è in forte calo in Italia (ricordate le forti critiche al “Jova Beach” nel 2019?), che nel periodo 2016-2019 aveva concentrato i suoi nidi solo nelle aree di spiaggia meno disturbate dalla nostra presenza, quest’anno ha potuto spaziare molto di più, arrivando anche in aree fortemente turistiche. Ancora, il monitoraggio degli uccelli acquatici presso un piccolo lago nel Parco di San Lorenzo, in provincia di Mantova, ha contato dieci specie nel 2020, a fronte delle due del 2019, comprese alcune che da anni non si osservano nella zona». Per alcune specie è stato osservato inoltre un maggiore successo riproduttivo. Manenti fa l’esempio del rondone, «la cui popolazione è stata in contrazione degli ultimi anni e le cui nidiate sono state più numerose questa primavera rispetto a quelle del periodo 2017-2019». Anche gli animali che sono spesso vittime degli automobilisti se la sono passata meglio: «Analizzando i dati raccolti da un gruppo di recupero rettili che opera in otto diverse località lombarde, abbiamo visto una significativa riduzione di rospi e rane investiti; una simile diminuzione l’abbiamo riscontrata anche per due diverse specie di lucertole».

Cosa è andato storto

La minore presenza umana è stata una buona occasione anche per le specie aliene invasive, che hanno avuto, come le altre, la possibilità di conquistare spazi e riprodursi, ai danni però delle specie autoctone. In questo caso i dati raccolti non riguardano osservazioni dirette, bensì le risposte a questionari invitati a chi si occupa della manutenzione di parchi naturali nazionali e regionali. «È emerso – tutto sommato poco sorprendentemente – che molti di essi non hanno potuto portare avanti molte attività correlate all’eradicazione delle specie aliene e/o alla tutela di quelle autoctone», ha spiegato Manenti. «E poiché il lockdown ha coinciso con la stagione riproduttiva di molte specie, è possibile che vi siano effetti negativi sul medio-lungo termine. Alcuni dei partecipanti al questionario hanno anche evidenziato come la mancanza di barriere umane possa aver portato le specie invasive ad allargarsi anche in nuovi areali». Ad allargarsi, in alcune zone, sono stati anche i bracconieri, che in altri paesi hanno potuto approfittare della situazione per agire indisturbati. Anche di questo non c’è osservazione diretta per quanto riguarda il contesto italiano, ma è possibile che anche nel nostro paese sia accaduto qualcosa di simile. Manenti coglie l’occasione dello studio per ricordare che la tutela della fauna selvatica è una priorità, e che ci sono margini per fare molto di più per proteggerla: «A mio parere, alcune situazioni potrebbero anche essere almeno parzialmente replicate, per esempio chiudendo occasionalmente strade note per essere frequentate da rane e rospi. Inoltre, dobbiamo considerare che il lockdown ha avuto conseguenze economiche e sociali, per cui anche le attività volte alla conservazione della biodiversità potranno risentirne nel lungo termine: sarà però importante investire su di esse se vogliamo tutelare la biosfera».

(Foto di José Iñesta su Unsplash)