Come previsto, le misure di isolamento hanno aggravato la condizione delle donne vittime di violenza domestica. Lo confermano i risultati di una ricerca condotta dal Cnr (Consiglio nazionale delle ricerche), rivolta ai centri antiviolenza attivi in Italia. L’emergenza sanitaria legata all’epidemia di Covid-19 ha portato alla chiusura totale o parziale dei 335 centri coinvolti nell’indagine, che hanno lavorato quindi soprattutto “in remoto”, cioè per telefono o in videochiamata. Sono rimasti chiusi, salvo casi particolari, il 57 per cento dei centri. Il 32 per cento ha dichiarato di essere del tutto chiuso e di avere lavorato in remoto. Solo il 5,7 per cento è rimasto accessibile alle donne nelle modalità precedenti all’inizio della pandemia. Quasi 4 centri su 5 (il 78 per cento) ha osservato una flessione dei nuovi contatti in seguito all’introduzione delle misure di contenimento. L’entità della flessione è notevole, visto che il numero di nuovi contatti è scesa della metà. «Se infatti prima dell’emergenza ogni centro contava in media 5,4 nuovi contatti a settimana – si legge sul sito del Cnr –, durante il periodo dell’emergenza questi sono scesi a 2,8 per centro». Per quanto riguarda i rapporti che erano già cominciati prima della pandemia, i risultati sono stati piuttosto variabili: il 38 per cento dei centri ha dichiarato una diminuzione dei contatti, il 20 per cento un aumento e il 42 per cento non ha notato variazioni significative. Da rilevare anche la variazione dei rapporti tra i centri antiviolenza e altre strutture in qualche modo collegate ai servizi dedicate alle donne vittime di violenza: «Ha subito significative diminuzioni o è stato addirittura interrotto […] il rapporto con gli ospedali (53 per cento) e con i tribunali ordinari (53 per cento) e minorili (48 per cento), che hanno sospeso le loro attività».
Campagne di promozione efficaci
Molte associazioni hanno espresso gradimento per le iniziative e le campagne attivate dal Dipartimento per le pari opportunità e dal Ministero dell’interno. Tra queste la pubblicità del numero di pubblica utilità 1522 (e della relativa app). Come ha rilevato l’Istat, infatti, c’è stata un’impennata delle chiamate registrate rispetto all’anno scorso. Durante il lockdown sono state 5.031 le telefonate valide al 1522, il 73 per cento in più dello stesso periodo del 2019. Le vittime che hanno chiesto aiuto sono state 2.013 (+59 per cento). Un aumento che, specifica l’Istat, non si deve necessariamente a una maggiore frequenza di episodi di violenza, ma proprio all’efficacia delle campagna di promozione del servizio, che ora è conosciuto e usato da molte più persone. Anzi, il numero di denunce complessive registrate è addirittura diminuito: «Le denunce per maltrattamenti in famiglia sono diminuite del 43,6 per cento, quelle per omicidi di donne del 33,5 per cento, tra le quali risultano in calo dell’83,3 per cento le denunce per omicidi femminili da parte del partner. Per poter dare una lettura adeguata del fenomeno sarà necessario un periodo di riferimento più lungo».
Le donne hanno subìto senza denunciare
Secondo la giudice del tribunale di Roma Paola Di Nicola, intervistata su Repubblica dell’11 maggio, il calo si deve all’impossibilità per le donne di denunciare le violenze a causa dell’isolamento: «Da marzo a oggi, le richieste di primo accesso ai centri sono calate del 50 per cento, mentre i contatti con le donne già seguite sono diminuiti del 40 per cento. Se a questo si aggiunge che le denunce durante il lockdown sono calate del 50 per cento in quasi tutte le procure, abbiamo chiaro il quadro di ciò che è accaduto: le donne, non potendo uscire, hanno subìto senza più chiedere aiuto». Di Nicola pone una serie di domande che mettono in luce quanto le donne vittime di violenza siano state lasciate sole in questa difficile fase, mentre facevano i conti con situazioni domestiche più difficili del solito: «Perché non sono state trovate nuove case rifugio dove inserire le donne in pericolo? Perché non sono stati dati ai centri i tamponi prioritari? Perché non si applica in modo più efficace l’articolo 384 bis, ossia l’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare dei persecutori? Ancora una volta, purtroppo, è un fatto culturale. Da qualche parte si pensa ancora che il femminicidio sia un reato inevitabile».
(Foto di Lindsey LaMont su Unsplash)