
C’è uno strumento in Italia che sembra in crisi (sempre che abbia vissuto un momento di salute): il concorso pubblico. Puntualmente, quando se ne parla, è per lamentarsi di come non sia stata premiata la meritocrazia, né seguite con precisione le procedure, o di come non si sia stati in grado di diffondere la pubblicazione di un bando in modo da attrarre le forze migliori. Visto che si tratta di un tema vasto, proviamo a concentrarci su un campo specifico, ossia quello dei loghi istituzionali. Il caso forse più clamoroso fu quello di Italia.it, che nel 2007 lasciò il segno (involontariamente) con un logo che, pur vincendo il concorso bandito dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, non convinse la maggior parte degli operatori del settore. Il logo, indimenticabile, si presenta come una “i” con di fianco una figura stilizzata che dovrebbe richiamare la penisola italiana e al contempo sostituire una “t”. Tra i commenti, ne citiamo uno da un blog, particolarmente caustico: «L’osceno logo “IT” non è un logo, è un trattato di sociologia, è un atto di denuncia, è una manifestazione di disagio. Lo puoi affrontare da più punti di vista: grafico (un macello), sociologico (un gioiello di comunicazione – temo involontario), tipografico (un monumento all’indecisione), semantico (Italia paese dei peperoni – verdi)».
A ognuno la propria valutazione, sta di fatto che un logo (bello) per l’Italia esisteva già, anche se giaceva inutilizzato da anni, ed era stato fatto da Franco De Vecchis nel 1987, che a sua volta aveva vinto un bando pubblicato dall’Enit (Agenzia nazionale italiana del turismo). Nel 2007, per scongiurare l’invasione dei peperoni verdi, fu rispolverato e riproposto, e attualmente campeggia (per fortuna) nelle pagine del sito ufficiale per il turismo in Italia. Quindi sì, lo dobbiamo ammettere, a volte i bandi pubblici funzionano. Nel 1987 funzionò, solo che poi nessuno si impegnò a utilizzare e far circolare il lavoro del vincitore. Potremmo dire che, a suo modo, anche il bando del 2007 ebbe un effetto positivo: quello di rilanciare il logo che attendeva con pazienza il suo momento da vent’anni. Ma non andiamo fuori tema. Lo scandalo suscitato allora per un logo e un portale costati milioni di euro agli italiani, dimostra che il meccanismo del bando pubblico (o meglio il modo in cui è utilizzato) non è sempre in grado di attrarre e premiare la qualità più alta.
La dinamica si è ripetuta col nuovo logo della regione Lazio, presentato qualche giorno fa. La storia inizia a novembre 2013, quando si elaborò un brief (al quale partecipò anche l’Aiap, Associazione italiana design della comunicazione visiva), fu pubblicato un bando, e alla fine vinse il logo che vedete nella foto qui accanto. Da una lettera pubblicata il 13 febbraio 2014 (a questo link il testo completo assieme a tutti i loghi che hanno partecipato al concorso) dalla presidente Aiap, Daniela Piscitelli, si evince che qualcosa non ha funzionato nella designazione del vincitore. Ecco il suo racconto: «L’ente banditore a pubblicazione del bando non ha permesso ci fossero più di due esponenti Aiap regionali in giuria. Questi due esponenti regionali NON hanno votato il logo che ha vinto e, anzi, hanno evidenziato la pochezza e la fragilità di TUTTE le proposte pervenute. I restanti tre giurati hanno ritenuto, invece, di poter premiare il logo che avete visto. Nella redazione del bando, Aiap aveva evidenziato anche la necessità di allungare i tempi di progettazione, argomento che è stato recepito dall’amministrazione pubblica solo concedendo una minima proroga; anche questo, forse, spiega la scarsa qualità dei progetti pervenuti. Questa la cronaca modesta di un paese modesto. Ha vinto la mediocrità. Noi (Aiap? Una classe intera di progettisti seri?) abbiamo perso».
Niente di personale contro chi ha vinto, ma l’idea non è proprio originale a giudicare da ciò che si trova girando per il web. Insomma, se non è il meccanismo del concorso in sé a meritare una revisione, allora è il caso di intervenire sul modo in cui viene utilizzato, e non solo in questo ambito, che è molto piccolo, per quanto rappresentativo.