In questi giorni, si stanno restringendo progressivamente i margini per la fuga di capitali verso i cosiddetti paradisi fiscali. L’Italia ha appena firmato accordi con il Lichtenstein e con la Svizzera per sancire la fine del segreto bancario e il passaggio progressivo a un sistema di scambio automatico delle informazioni di carattere finanziario. I due Paesi vengono quindi cancellati dalla black list degli Stati che forniscono, in maniera più o meno esplicita, un comodo rifugio a chi vuole evadere il fisco e fare uscire illegalmente i propri capitali. La notizia acquista una certa rilevanza se si pensa che, grazie alla norma sulla voluntary disclosure, fino alla fine di settembre i cittadini italiani che hanno capitali all’estero hanno la possibilità di farli rientrare pagando tutte le tasse dovute, ma potendo beneficiare di uno sconto sulle sanzioni e di «termini di prescrizione dell’accertamento più favorevoli», come riportato in un comunicato del Ministero dell’economia.
Comunque vada, bisogna riconoscere che si tratta di un’ottima operazione nella lotta all’evasione fiscale, soprattutto in prospettiva futura. Per quanto riguarda gli effetti immediati della manovra, le previsioni sono discordanti. Per il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, si tratterà di «miliardi di euro che ritornano allo Stato». Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, è molto più cauto e vagamente bizantino nell’affermare che «Questo accordo ci è costato un euro, posso dire con certezza che porterà a entrate per più di un euro ma oltre non vado». Su La Stampa, Paolo Baroni prova a fare un po’ di conti, scrivendo che «a fronte dei 120-150 miliardi stimati, si pensa si farne emergere circa 30-40. Si tratta di somme che per circa la metà sarebbero totalmente sconosciute al Fisco (e sulle quali andrebbero pagate tutte le tasse, con una aliquota media del 37 per cento, ed un incasso una tantum pari a 5,5-7,5 miliardi), mentre sulle restanti somme si tratta solo di recuperare le tasse sugli interessi (gettito atteso di 1-1,4 miliardi). A regime l’operazione trasparenza dovrebbe invece fruttare circa 5/7 miliardi all’anno. In realtà sulle stime gli operatori sono divisi: per il direttore finanza di Banca Generali, Stefano Grassi, potrebbero emergere 80 miliardi, che si tradurrebbero in 15 miliardi di entrate per lo Stato, mentre Massimo Boidi, di Synergia consulting è molto meno ottimista: “Dopo anni di annunci gli italiani sono smaliziati e c’è il rischio concreto che tutta questa operazione si riveli un flop”».
Per ricollegarci a un’altra questione di cui abbiamo parlato recentemente, la lista Falciani, va detto che chi si trova indagato dal fisco per questioni relative alla fuga di capitali, non potrà accedere alla voluntary disclosure. Il che potrebbe “incastrare” un certo numero di evasori finiti nella lista dell’ex dipendente Hsbc, che a quanto pare potrebbe essere dichiarata utilizzabile dalle sezioni unite della Corte di Cassazione, il cui verdetto è atteso per il 15 aprile. La cosa si fa interessante perché, nonostante il danno causato dallo scudo fiscale del 2009, le indagini fatte sulla base di quella lista fanno emergere la possibilità di recuperare una parte del capitale evaso: «Al 29 gennaio scorso, a fronte di 5.439 nominativi segnalati, sono state effettuate 3.276 ispezioni e contestati redditi non dichiarati per quasi 742 milioni di euro, Iva dovuta per circa 4,3 milioni di euro, Iva non versata per circa 156mila euro, ritenute operate e non versate per oltre 10mila euro». Certo, siamo lontani dai miliardi di euro usciti dal Paese e di cui si è persa ogni traccia nel corso degli anni: quelli, ormai, sono persi per sempre.