Gli articoli che si occupano in maniera esplicita di fascismo, dentro la nostra Costituzione, si trovano nelle Disposizioni transitorie e finali. Al punto III si affronta la prima composizione del Senato, specificando che tra i suoi membri dovranno figurare, tra gli altri, coloro che «hanno scontato la pena della reclusione non inferiore a cinque anni in seguito a condanna del tribunale speciale fascista per la difesa dello Stato». Se ne torna a parlare al punto XII, dove si dice che «È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista». Possiamo dire con relativa tranquillità, e senza timore di esprimere un giudizio di parte, che la Costituzione italiana poggia (anche) su principi antifascisti. Tra le tante lezioni che l’Italia sembra non avere imparato dalla Storia c’è il fatto che, dopo l’esperienza della Seconda guerra mondiale, non si possono più sovrapporre i concetti di patriottismo e di fascismo. La Costituzione ci dice precisamente questo, tra le righe, quando chiama a sedere al Senato coloro che sono stati condannati dal “tribunale speciale fascista per la difesa dello Stato”.

Da quel momento in poi, sembra sottintendere, sono ribaltati i termini del discorso: ciò che il fascismo ha condannato, diventa fondante per la nascente Repubblica. Ciò che il fascismo reprimeva, oggi può esprimersi liberamente. Non si capisce dunque, per tornare ai giorni nostri, com’è che i nostri politici si siano dimostrati così timidi nel commentare i fatti di Macerata. Prudenza nell’organizzare manifestazioni antifasciste, per evitare problemi di ordine pubblico. Nella politica della moderazione, dove non ci si espone per timore di perdere consenso (da qualunque parte provenga), ma non si perde occasione per fare leva su paure e mal di pancia dell’elettorato, il concetto di antifascismo sembra un fatto relegato a gruppi di estrema sinistra. Antifascista quindi comunista. Antifascista quindi “black bloc”. Antifascista quindi “centri sociali”. Invece no, antifascista e basta: è un aggettivo che sta in piedi da solo. E invece nessuno dei principali esponenti politici ha voluto condannare apertamente quanto avvenuto con le parole che merita.

Un attentato terroristico, compiuto da un italiano (fascista) ai danni di persone innocenti, individuate dall’attentatore in base al colore della pelle. Capiamo, purtroppo, la reticenza nell’uso della parola terrorismo da parte dei politici. Se si va in quel campo, poi bisogna mantenere un profilo istituzionale, che implica, per esempio, il fatto di fare visita alle vittime. Ma il selfie con il nigeriano in ospedale non porta voti. Basti pensare a cosa sarebbe successo se l’attentato fosse stato compiuto da un immigrato, ai danni di italiani. La parola terrorismo avrebbe riempito le prime pagine di tutti i giornali, prima ancora che si cominciasse a indagare. Il “capolavoro”, se così si può chiamare, è stato compiuto dal ministro dell’Interno Marco Minniti, quando ha dichiarato che «Traini, l’attentatore di Macerata, l’avevo visto all’orizzonte dieci mesi fa, quando poi abbiamo cambiato la politica dell’immigrazione». In che senso? È stato per caso un immigrato a sparare a Traini? O si sono volute inasprire le politiche di gestione dei flussi di imbarcazioni di migranti nel Mediterraneo per evitare a chi ci stava sopra di arrivare in Italia e rischiare di finire coinvolto in un attentato?

Si continua a ribadire l’assioma per cui più immigrazione vuol dire più reati. Peccato che la realtà non sia così semplice. E se proprio volessimo farla semplice, dovremmo dire che si tratta di una convinzione falsa. Un classico esempio di fake news messa in circolo dai politici a fini elettorali. Gli stessi che dicono di volerci difendere dalle bugie, sono i primi a raccontarcele. L’immigrazione è definita non come un fenomeno da gestire ma come una “bomba sociale” pronta a esplodere. Una delle tante colpe da scaricarsi addosso tra un partito e l’altro. In Italia c’è stato un attentato compiuto da una persona che si dichiara fascista ai danni di cittadini immigrati. Ma il problema sono questi ultimi, non l’attentatore e il clima che sta montando attorno a certi atteggiamenti apertamente nostalgici verso una stagione che la nostra stessa Costituzione condanna.

Una cosa l’hanno sbagliata forse, i nostri padri costituenti. Hanno considerato la chiusura del periodo fascista una questione “transitoria e finale”, evitando di trattare l’argomento nella prima parte della Carta. Sono stati fin troppo ottimisti e discreti, credevano forse di partecipare alla fondazione di un Paese pronto a crescere. Invece, mentre pensavamo ad altro, ci siamo risvegliati più immaturi che mai.

(Foto di Alisdare Hickson su flickr)