Solo un breve post quest’oggi, per dire che ZeroNegativo cambia atteggiamento rispetto agli attentati che, a giorni alterni, cadenzano le giornate dell’attualità mondiale. Abbiamo interrotto le pubblicazioni per qualche giorno dopo Parigi, Bruxelles, Orlando, oggi dovremmo fermarci per Istanbul. Ma abbiamo deciso di smettere di rispondere al terrore con il silenzio. Siamo una piccola voce all’interno del panorama informativo italiano (seppure con un nutrito gruppo di lettori e oltre 7mila persone che ricevono ogni settimana per mail il riepilogo dei nostri post; ci si può iscrivere scrivendo qui), e non sarà il nostro silenzio a catturare l’attenzione. Piuttosto il contrario: continuare strenuamente a interrogarsi sulla realtà, con tutte le difficoltà di chi deve farlo giornalisticamente, e cioè in tempo reale, senza potersi concedere il lusso di aspettare che ciò che sta accadendo diventi storia, che lo si possa rigirare tra le mani come un qualsiasi oggetto. Peraltro, quella del silenzio rischia di diventare una spirale senza fine.
Come scegliere quando fermarsi e quando no? Se dopo un attentato a Parigi ci sentiamo tutti improvvisamente vicini alle vittime e minacciati, più vulnerabili, non è lo stesso quando la bomba esplode a Mogadiscio, o a Samarra. Abbiamo già provato a riflettere su questo aspetto, notando come il coinvolgimento sia maggiore quando gli attentati avvengono in luoghi geograficamente più vicini a noi. L’episodio di Orlando ha contraddetto questa tesi. Il risalto e lo sgomento riscosso dalla notizia (anche per le sue dimensioni inedite negli Usa) sono stati notevoli sui media di tutto il mondo, e per giorni non si è parlato d’altro. In quel caso forse si è trattato di una vicinanza non più geografica, ma culturale. I ragazzi e le ragazze che sono morti quella sera stavano solo chiacchierando e bevendo qualcosa in un bar. Proprio come al Bataclan o per le strade di Parigi lo scorso novembre. Il pensiero che l’attacco possa avvenire ovunque, in qualsiasi momento, anche in luoghi storicamente molto tranquilli (pensiamo al Belgio) è il collante che ci avvicina a tutte le persone che in qualche modo vivono “come noi”. Ecco che già abbiamo fatto una distinzione rispetto a qualche mese fa: dalla questione geografica siamo passati agli stili di vita.
I contorni dei criteri di separazione e di vicinanza, che visti da lontano sembrano immediatamente riconoscibili, sfumano man mano che ci avviciniamo per analizzarli. La scelta di fermare le pubblicazioni solo in alcuni casi e non in altri non ha dunque alcuna giustificazione razionale. È una reazione emotiva (e non per questo condannabile, sia chiaro), che però inevitabilmente può fare intendere che ci sia una scala di valori tra le vittime di attacchi terroristici in tutto il mondo. Ecco perché parlavamo di spirale del silenzio: a voler essere razionali, dovremmo fermarci dopo ogni attentato, indipendentemente dal luogo, dalla “vicinanza” (in senso lato) con le vittime. Probabilmente, vista la complessità dell’epoca in cui viviamo (e la disponibilità di informazioni in tempo reale) avremmo motivo di fermarci quasi ogni giorno. Ecco perché abbiamo deciso di ribaltare il punto di vista, e continuare d’ora in poi a scrivere. Per esprimere dolore, per condannare chi uccide, per provare a capire, per sbagliare e poi correggere il tiro. Oppure, se proprio non sappiamo cosa dire, per parlare d’altro. Non dimentichiamo infatti che anche quando un tema (generalmente drammatico) monopolizza l’attenzione dei media, a volte per giorni interi, molte altre cose continuano a succedere. Magari cose positive, buone notizie. Ecco, una sfida (metaforica) al terrore sarebbe trovare più buone notizie. Non per spostare l’attenzione dal dramma della morte, ma per celebrare la vita che continua, che cambia, e la società che trova sempre nuove forme per affrontare i problemi.
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