Due sono le direzioni indicate dal governo Monti per mettere ordine nel bilancio dello Stato: frenare le uscite, tagliando la spesa pubblica, e incrementare le entrate, con la lotta all’evasione fiscale e l’aumento di alcune tasse. Se ben integrate, queste due azioni possono davvero dare una spinta verso il rientro dalla crisi, ma se gestite sbilanciando l’attenzione verso l’una o l’altra, rischiano di rivelarsi quali semplici strategie demagogiche. Eventualità, quest’ultima, che il nostro Paese ha già vissuto negli ultimi decenni e di cui, sinceramente, non sentiamo la mancanza.
Purtroppo, la squadra costruita attorno a Mario Monti sembra essere caduta vittima, da qualche tempo a questa parte, della trappola dell’annuncio. A parole si prefigurano scenari da resa dei conti, in cui finalmente ogni squilibrio sarà sanato a favore del principio di uguaglianza di tutti i cittadini, mentre le azioni che ne seguono sono molto più timide e misurate. Potremmo parlare del taglio, poi diventato accorpamento, poi ancora riordino, delle Province e dei Comuni più piccoli. O della tassa, mai varata, sul patrimonio che avrebbe dovuto colpire i capitali dei cittadini più ricchi. È arrivato invece, tardivo rispetto agli annunci, il tetto agli stipendi dei manager pubblici, che da ora non potranno guadagnare più di 300mila euro l’anno.
Tale cifra, non proprio piccola, fa venire in mente una domanda: ma quanti sono quelli che vanno oltre questo tetto, e com’è possibile che si sia arrivati a cifre così alte? Capiamo il principio per cui la responsabilità e la competenza richieste per ricoprire certi incarichi vadano retribuite adeguatamente, ma veramente hanno senso cifre quali 621.253 euro (gli importi sono lordi) per il capo della Polizia Antonio Manganelli, 562.331 euro per il ragioniere generale dello Stato Mario Canzio, o ancora 543.954 per l’ex capo Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta? Per non parlare dei tre presidenti di authority indipendenti: Giovanni Pitruzzella, dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, Corrado Calabrò, dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e Pier Paolo Bortoni, dell’Autorità per l’energia elettrica ed il gas, a 475.643 euro all’anno.
Il limite non andrà a colpire i consigli di amministrazione attualmente in carica, ma sarà applicato nel momento in cui avverranno le nuove nomine. Quindi gli effetti di tale provvedimento saranno molto lenti e graduali nel tempo. Una spending review più energica avrebbe colpito con più forza tali sperequazioni, così come quelle verso la politica e i suoi costi. E poi, tornando alla questione delle responsabilità, non dimentichiamoci che chi ricopre tali incarichi difficilmente vede la propria carriera interrotta da eventuali fallimenti. Generalmente, anzi, costoro percepiscono una generosa buonuscita, per poi essere ricollocati altrove dopo qualche tempo, giusto quello necessario a far dimenticare il proprio nome ai meno attenti.
Restano comunque alcuni nodi da sciogliere, tra cui quello degli incarichi multipli ricoperti da molti funzionari pubblici, i cui compensi se sommati arrivano talvolta a superare il tetto stabilito dall’emendamento; o quello dei diplomatici, che non sono stati toccati dal provvedimento.