di Federico Caruso

È risaputo che parlare ai bambini fin da molto piccoli li aiuta a sviluppare il linguaggio. Ma non tutti i modi di parlare con loro sono uguali e altrettanto efficaci. Un gruppo di ricercatori della University of Washington ha fatto un test sull’efficacia dell’insegnamento del “maternese” ai genitori, verificandone l’impatto sull’apprendimento dei bambini nel corso dei primi 18 mesi di vita. Il risultato ha confermato che il training aiuta concretamente lo sviluppo del linguaggio.

Che cos’è il maternese

Maternese è una traduzione scorretta (ma non ne abbiamo un’altra universalmente accettata) dell’inglese parentese, che letteralmente significherebbe “genitorese”, la lingua dei genitori. Consiste, come spiega il Guardian, in un metodo di comunicazione genitori-figli che si basa sull’iper-articolazione delle vocali, la regolazione del tono di voce e un sistema lessicale semplificato. Nato negli anni ’60 e diventato popolare negli anni ’80 del Novecento, si è rivelato nel tempo uno strumento efficace per aiutare i bambini a sviluppare il linguaggio. Non va confuso con il cosiddetto baby talk, ossia la semplice riproduzione dei suoni disarticolati che i bambini piccoli fanno quando ancora non riescono a pronunciale parole intere, che non è di alcuna utilità. Il Guardian fornisce un esempio di come potrebbe suonare una semplice domanda («Vuoi una banana?») in maternese. Lo lasciamo in inglese, ma dovrebbe essere piuttosto chiaro: «Hellooooooo bayyyyybe, doooo youuuu want a baaaaaanaaaaanaaaa? Oooooh, niiiiiiiice baaaaaanaaaaanaaaa».

L’obiettivo dello studio

Già in passato alcune ricerche avevano confermato l’efficacia del maternese. Lo studio in questione si proponeva però di studiare un fenomeno specifico, ossia l’efficacia di un percorso di formazione sul maternese rivolto a genitori di bambini molto piccoli. I ricercatori hanno quindi isolato un gruppo di 71 famiglie, di cui 48 (selezionate a caso all’interno del campione) sono state sottoposte al training, mentre le restanti 33 sono state assegnate al gruppo di controllo (cioè non hanno partecipato alla formazione ma servivano come termine di paragone per i risultati). L’apprendimento è avvenuto con un sistema di misurazione basato sulla registrazione di una giornata tipo dei bambini a intervalli predefiniti: ai mesi 6, 10 e 14 i genitori dovevano attivare un registratore e tenerlo acceso per 12 ore. I dati sarebbero poi stati scaricati e interpretati attraverso un software specifico. Alla fine di ogni registrazione, le famiglie seguivano un incontro di formazione individuale della durata di circa 45 minuti. Entrambi i genitori erano invitati a seguire il corso, ma in molti casi a partecipare è stata solo la madre. Questo non ha prodotto significative differenze di efficacia.

I risultati

Al mese 18, i dati rilevati hanno confermato che i figli delle coppie che avevano seguito il coaching parlavano di più e usando più parole diverse. Alla fine del test, questi avevano messo insieme un vocabolario di circa 100 parole, mentre i bambini del gruppo di controllo circa 60. I primi, fin dal sesto mese, tendevano a parlare di più e più spesso. Il test ha quindi confermato tutte e tre le ipotesi di partenza dei ricercatori, ossia che un intervento di addestramento sui genitori avrebbe (1) aumentato il loro uso del maternese con i bambini, (2) accresciuto lo scambio di conversazioni genitori-figli tra il sesto e il diciottesimo mese, (3) portato a una maggiore crescita nella vocalizzazione dei bambini nello stesso periodo di tempo e a migliori risultati linguistici nel mese 18, quattro mesi dopo l’ultimo appuntamento di coaching.

(Foto di Sai De Silva su Unsplash)