Da quando Matteo Renzi ha conquistato il suo obiettivo dichiarato, ossia Palazzo Chigi, non abbiamo mai smesso di vigilare sul grande iato che fin dai primi mesi andava aprendosi tra le promesse fatte dal neo premier e gli obiettivi che man mano andava mettendo a segno. Il suo ambizioso cronoprogramma (parola che lo stesso Renzi ha fatto entrare di prepotenza nel lessico della politica) era lastricato di grandi riforme, non tutte condivisibili e non tutte “di sinistra” (il che non è un optional, dato che la prima scalata importante di Renzi è avvenuta dentro al Pd). Col passare del tempo alcuni temi sono stati rimandati (come la riforma del terzo settore), altri ridimensionati, di altri non si è più parlato. Al contrario, sono arrivate riforme, come quelle della scuola o del lavoro, che hanno destato grandi perplessità e proteste.
In molti hanno visto in lui la luce che avrebbe potuto illuminare finalmente il tortuoso cammino del centrosinistra, fatto fino ad allora di pesanti sconfitte alternate a dignitosissimi disastri elettorali. Altri, forse più accorti, hanno parlato di continuità con il precedente “ventennio”, come viene chiamato quello in cui ha governato per la maggior parte Silvio Berlusconi (anche se per otto di quei vent’anni al governo c’è stato il centrosinistra, senza che questo abbia marcato una differenza evidente rispetto agli esecutivi di centrodestra). Oggi la seconda visione su Matteo Renzi sta raccogliendo sempre più consensi, e in molti si stanno rendendo conto che le speranze di cambiamento riposte in lui erano una ingenua illusione. Su ZeroNegativo ci limitiamo solitamente a commentare i singoli atti di governi e soggetti istituzionali, essendo disinteressati ai colori e alle casacche. Con lo stesso spirito non schierato, ci sembra però interessante citare qui alcune autorevoli opinioni di giornalisti e intellettuali che possiamo ascrivere senza timore di essere smentiti all’area del “pensiero di sinistra”, apertamente critiche verso l’attuale presidente del Consiglio.
Interessante la riflessione di Stefano Rodotà, che non perdona a certi intellettuali (e agli stessi compagni di partito del Pd) il fatto di aver notato con eccessivo ritardo le derive “berlusconiane” di Renzi. «Non basta fare la buona battaglia – scrive Rodotà –, bisogna farla al momento giusto». Nel suo articolo su Repubblica egli esprime amarezza per ciò che si sarebbe potuto fare e non si è fatto per evitare la situazione attuale: «Non è irragionevole pensare che la tempestiva creazione di un fronte culturale critico avrebbe potuto indirizzare le riforme istituzionali verso risultati più accettabili, considerando che erano venute proposte che andavano oltre il muro contro muro. L’occasione è stata perduta da parte di quelli che furono silenziosi o compiacenti. Ma pure da Renzi, che aveva a disposizione indicazioni che avrebbero consentito di ridurre il tasso antidemocratico dell’accoppiata tra legge elettorale e riforma del Senato».
I meccanismi della democrazia sono stati progressivamente erosi (continuando l’azione di Berlusconi), affinché il potere sia di fatto sempre più concentrato nelle mani del premier: «Il Presidente del Consiglio finisce d’essere un primus inter pares e acquista un potere di pieno controllo del Governo. Il Governo declassa il Parlamento a luogo di registrazione». La decretazione d’urgenza è ormai la regola, da decenni, e anche questo governo non si è sottratto alla pericolosa deriva. Altro meccanismo odioso innescato dalla nomina di Renzi è dovuta al fatto che, non esistendo un’alternativa valida al suo esecutivo, chiunque lo abbia criticato “da sinistra” nel corso di questi mesi è sempre stato tacciato di fiancheggiare le opposizioni considerate più “anti sistema”, come il Movimento 5 Stelle e la Lega Nord: «La democrazia non può essere separata dall’esistenza di alternative, soffre ogni monolitismo e, quando si rende difficile il dialogo o non si accetta la costruzione di nuovi soggetti, si è responsabili dell’astensione di massa, della democrazia senza popolo, o del rivolgersi a chiunque sul mercato si presenti come alternativa».
Secondo Piergiorgio Cattani, direttore del portale Unimondo, prima che a Berlusconi il primo ministro andrebbe associato a un altro personaggio della nostra storia politica recente, Craxi: «Il “bambino che ha mangiato i comunisti” e che in Europa si dichiara socialista assomiglia per certi versi al primo Bettino, quello riformista, della scala mobile, quello che era odiato dai sindacati, che si dichiarava vicino a Israele ma pure ai palestinesi. Un Craxi passato attraverso Berlusconi. Renzi infatti, al Meeting di Rimini, ha fatto un discorso completamente berlusconiano, basato sulla dicotomia tra l’Italia che guarda in avanti e quella che guarda in basso e sul concetto di libertà. Occorre togliere i vincoli, sprigionare le energie positive, “liberare” dalla burocrazia. Dall’ottimismo della volontà, di craxiana memoria, siamo passati alla “positività del reale”, un’espressione che fa impazzire il popolo di CL».
Un meccanismo che speriamo non si inneschi mai è l’antirenzismo, visti i danni provocati dal suo fratello maggiore, l’antiberlusconismo. Certo, quest’ultimo ha creato una classe di professionisti, tra politici e giornalisti, che ci hanno costruito intere carriere. Forse è proprio quello il prossimo carro della vittoria, e probabilmente c’è già chi si allena per i salti.
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