Durante il mese di agosto, il Parlamento ha interrotto le attività, ma molte questioni restano in sospeso, e alcune riguardano proprio i meccanismi istituzionali. Tra queste: la trasparenza nelle attività delle commissioni, le pensioni di deputati e senatori e i doppi e tripli incarichi. Cominciamo dal primissimo aspetto, la pausa estiva. Grazie al costante lavoro di monitoraggio svolto da OpenPolis, sappiamo che quest’anno si è stabilito il record di chiusura estiva del Parlamento in questa legislatura: le Aule sono rimaste chiuse per ferie per 39 giorni. Per fare un confronto, nel primo anno di legislatura, il 2013, i giorni erano stati 25, rimasti costanti l’anno successivo, mentre poi sono cominciati ad aumentare. Il che di per sé non sarebbe uno scandalo, se nel resto dell’anno il Parlamento si distinguesse per efficienza e produttività. Purtroppo non è così, e con tante questioni in sospeso (riforma dello ius soli, dei vitalizi, testamento biologico, legge elettorale, ecc.) e la fine della legislatura che si avvicina, forse una pausa così lunga si poteva evitare. Visto che si parla spesso di “messaggio da dare al Paese”, di sicuro meglio una pausa più breve che una cartolina dal mare. Vediamo poi gli altri aspetti, sempre con l’aiuto di OpenPolis.
Dell’attività spesso oscura delle commissioni parlamentari avevamo già parlato in un altro post. Come spiegavamo, attualmente ne esistono formalmente una sessantina, ma di molte di esse non si sa bene quando (e se) si riuniscono, quali membri partecipano e come votano. Ci sono modalità e obblighi di rendicontazione molto diversi a seconda del tipo di commissione e dell’Aula di appartenenza. Dunque una costola importante delle istituzioni parlamentari agisce in maniera del tutto opaca, a causa dei regolamenti del Parlamento, su cui si potrebbe lavorare. Alcune delle commissioni formate durante questa legislatura non sono mai nemmeno state costituite. Spesso vengono annunciate davanti a telecamere e riflettori per rispondere a fatti di cronaca molto sentiti dalla popolazione, ma poi tutto torna a tacere. «È il caso per esempio – si legge su OpenBlog – della commissione d’inchiesta al senato sulla ricostruzione dell’Aquila, deliberata dal senato il 10 novembre del 2016 ma mai realmente costituita, e di quella bicamerale sul sistema bancario e finanziario (legge istitutiva approvata a fine giugno 2017). […] In aggiunta quando vengono forniti dettagli sul lavoro fatto (documenti, relazioni, audizioni e missioni) i due rami (e le singole commissioni) tendono a pubblicare informazioni diverse, in formati differenti e in maniera discontinua».
Altro problema su cui talvolta si torna, ma senza troppa convinzione, è quello dei doppi incarichi. Sulle incompatibilità alcuni passi avanti sono stati fatti negli ultimi anni, e ora è più raro vedere le stesse persone mantenere più cariche contemporaneamente senza che la loro popolarità ne risenta. Tuttavia c’è da riflettere sul fatto che in Italia sia possibile essere al contempo parlamentare e membro del governo. Se già il nostro Parlamento si distingue per un certo livello di assenteismo, il fatto che molti suoi membri abbiano impegni nell’esecutivo (oltre a minare il principio di separazione dei poteri) aggrava il fenomeno. «Attualmente ben 51 dei 58 membri del governo, l’87,93 per cento, sono anche parlamentari – spiega OpenBlog –. Più nello specifico 11 dei 18 ministri, compreso il premier Gentiloni, sono o deputato o senatore. Come analizzato a febbraio di quest’anno, i parlamentari che sono anche a capo di un dicastero partecipano in media al 10 per cento delle votazioni elettroniche. Considerando che la media alla camera è del 65,95 per cento e al senato del 73,55 per cento, il problema posto dai doppi incarichi è evidente».
Da ultimo, in questa veloce carrellata, affrontiamo la questione delle pensioni. Se è vero che gli attuali parlamentari non godranno del “vitalizio” come avveniva un tempo (ma il discorso non è retroattivo, anche se timidamente si sta provando a discuterne), per loro è scattato da qualche giorno il diritto alla pensione (di tipo contributivo) per il lavoro svolto in Parlamento. Com’è noto, servivano 4 anni, 6 mesi e 1 giorno di mandato per maturare il diritto alla pensione, e per 558 degli eletti questo è successo nei giorni scorsi (il numero è alto anche perché in questa legislatura sono stati elette molte persone alla loro prima esperienza in Parlamento). Attualmente restano ancora in attesa 33 persone tra deputati e senatori. Anche su questo, OpenPolis lamenta una scarsa trasparenza delle istituzioni. Il fatto che i 5 anni previsti dai regolamenti parlamentari siano in realtà quattro e mezzo è un dato ormai risaputo, ma trovarlo su fonti ufficiali non è per niente facile, anche per chi ha dimestichezza con la burocrazia: «È stato molto complicato quindi trovare un documento ufficiale sulla materia, e comunque non è stato rintracciato attraverso canali istituzionali. Sul sito personale del senatore Stefano Esposito (Pd) abbiamo rintracciato un documento intitolato “schema di regolamento delle pensioni dei deputati”, in cui all’articolo 2 comma 3 c’è scritto: “Ai fini della maturazione del diritto, la frazione di anno si computa come anno intero purché corrisponda ad almeno sei mesi ed un giorno; non ha effetti se la durata è di sei mesi o inferiore. Ai soli fini della maturazione del diritto minimo, per il periodo computato come mandato deve essere corrisposto il contributo obbligatorio mensile di cui all’articolo l”».
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