La frase pronunciata dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti sulla presunta irrilevanza del problema della scarsità di medici di base è discutibile da diversi punti di vista.

Il peso dei medici di base

Innanzitutto i dati: secondo la più recente rilevazione dell’Istat (2017), «il 74 per cento delle persone da 15 anni in poi ha fatto ricorso al medico di famiglia con una media di 1,2 contatti l’anno, mentre si è rivolto al medico di medicina generale il 90,9 per cento degli ultrasessantacinquenni». VareseNews ha intervistato il presidente della Federazione Italiana Medici di Famiglia, Silvestro Scotti, il quale conferma che «sono sempre più gli italiani che ricorrono al medico di famiglia. Questo senza considerare che la rete della medicina di famiglia, con la sua prossimità al paziente, ricoprirà sempre più un ruolo primario nella sanità pubblica, sopratutto nella gestione delle cronicità in un paese (l’Italia) che vede costantemente innalzarsi l’età media».

Risolvere il problema, non negarlo

Come abbiamo scritto più volte, presto in Italia mancheranno i medici di base, per scarsità di risorse ed errori di programmazione. Si tratta di un problema reale, che nel corso dei prossimi anni interesserà sempre più persone mettendo a rischio la qualità di un presidio sanitario di grande importanza. Affrontare il problema raccontandolo come ormai anacronistico è in contrasto con i dati che abbiamo appena citato. Le “sensazioni” e intuizioni sono elementi importanti nella vita di un politico ma, se da queste derivano scelte che interessano la qualità della vita di milioni di persone, è bene fermarsi e ripartire dai dati. Se il sottosegretario ne ha di diversi e più aggiornati è bene che li condivida, altrimenti non si capisce di cosa stiamo parlando.

Cybercondria

Un altro aspetto problematico sollevato da Giorgetti con leggerezza è il ricorso a Internet non solo, come egli afferma, per cercarsi uno specialista del problema che si ritiene di avere, ma anche per effettuare un’autodiagnosi. Già la ricerca dello specialista, in realtà, determina un passaggio da parte del paziente, che sostituisce in parte il compito del medico di base nell’individuare l’area medica della patologia. Fin dai primi anni 2000 si fanno ricerche per capire come internet ha influenzato le abitudini delle persone nel momento in cui hanno un disturbo. Si è visto che l’abitudine a inserire il proprio sintomo come chiave sui siti dei motori di ricerca porta le persone a credere di avere mali molto peggiori di quelli che in realtà hanno, alimentando ansia e ipocondria. La cybercondria è un’evoluzione di quest’ultima, ed è proprio una condizione determinata da informazioni reperite (da fonti non attendibili) su Internet. «Si stima che negli USA otto persone su dieci siano cybercondriache», scrivono Maria Renza Guelfi e Marco Masoni. «In Italia il fenomeno interessa il 32,4 per cento della popolazione, secondo i dati di una ricerca del Censis del 2012. I soggetti ipocondriaci solitamente pongono scarsa attenzione alla provenienza e all’attendibilità della sorgente informativa. Lo stato ansioso, tipico dell’individuo ipocondriaco, rende inoltre più difficoltosa una valutazione obiettiva della qualità e dell’affidabilità dell’informazione. Questa attitudine è ancora più rischiosa in Internet, dove sono pubblicate anche notizie false o con scarsa solidità scientifica».

(Foto di Online Marketing su Unsplash)