Mettersi nei panni dell’altro, si dice, è il miglior modo per capire e superare le differenze di opinioni, valori, visione. E se non fosse sempre così? Alcune considerazioni da un articolo di Oliver Burkeman tradotto da Internazionale.

È opinione comune, tra gli psicologi e non solo, che se vogliamo superare le nostre differenze politiche e culturali, dobbiamo imparare a vedere il mondo dal punto di vista dell’altro.

Ma a questo proposito i risultati di un nuovo studio americano sono piuttosto preoccupanti. I suoi autori avevano chiesto ai partecipanti di pensare a un argomento a favore di una tesi sulla quale non erano d’accordo, un metodo spesso usato negli esperimenti per far cambiare idea alle persone. Ma quando poi hanno dovuto immaginare i pensieri e i sentimenti dei loro avversari politici, i soggetti hanno scoperto che quegli argomenti erano meno convincenti. Mettersi nei panni degli altri, a quanto sembra, ce li fa apparire ancora più diversi.

La seconda parte dello studio ci aiuta a capire il motivo di questa bizzarra scoperta. Non è che le persone non siano capaci di “cambiare punto di vista”, è che lo sono fin troppo – tanto che, in realtà, arrivano veramente a capire quanto i valori degli altri siano diversi dai loro. Ci piace pensare che le dispute politiche non siano altro che tentativi di “far ragionare” i nostri avversari: se solo riuscissimo a dimostrargli dove sbagliano, presto troveremmo un terreno comune.

Argomentazioni meno convincenti

Ma spesso non è così. Un esempio classico è quello dell’aborto, perché è lampante. Alcune persone contrarie all’aborto sono irrazionali, ma la scomoda verità per tutti quelli come me che sono favorevoli alla scelta è che, se partiamo dal principio che è alla base del movimento per la vita, e cioè che l’aborto è un omicidio, la maggior parte del loro ragionamento che ne consegue sembra logico. Essermi reso conto di questo non mi porta a oppormi a loro con meno vigore, ma mi aiuta a capire perché le argomentazioni basate sui miei valori probabilmente non sono molto convincenti.

La cosa che più colpisce dei dibattiti morali di oggi “è che sono interminabili”, osservava il filosofo scozzese Alasdair MacIntyre, tanto da sembrare uno che non ne poteva più di Twitter già nel 1981, quando ancora non esisteva. “Con questo non intendo solo dire che vanno avanti all’infinito – anche se è così – ma che non arrivano mai a una conclusione”. Questo succede perché, sosteneva, conduciamo le nostre dispute a partire da presupposti in netto contrasto tra loro.

La soluzione più immediata è smettere di dare per scontato che gli altri siano illogici, in malafede, o entrambe le cose

Ci rendiamo conto di non poter spiegare i valori da cui partiamo in termini accettabili da chiunque, ma poi discutiamo come se potessimo convincere i nostri avversari usando le argomentazioni logiche derivanti da quei valori. Invece non li convinciamo affatto, e anzi rispondono con argomentazioni logiche che si basano sui loro valori, e la giostra continua a girare all’infinito.

I filosofi, MacIntyre compreso, hanno proposto vari modi per uscire da questa impasse. Ma la soluzione più immediata è smettere di dare per scontato che gli altri siano illogici, in malafede, o entrambe le cose. A volte hanno semplicemente valori diversi e, anche se non siamo tenuti a condividerli, non arriveremo mai da nessuna parte fingendo che non esistano.

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(Foto di diannehope su Morguefile)