«Aiutiamoli a casa loro» è uno slogan di cui non sapremmo ricostruire l’origine. Normalmente è utilizzato da partiti e raggruppamenti xenofobi per dire in maniera quasi politically correct che, in sostanza, «i migranti qui non li vogliamo». Il fatto di usare il verbo “aiutiamoli” presuppone u’idea di intervento attivo a favore dello sviluppo dei Paesi di provenienza dell’immigrazione economica, affinché le migliaia di persone che ogni anno abbandonano le coste del Nord Africa e dell’Asia per spostarsi in Europa restino “a casa loro”, a godersi la vita.

Generalmente è difficile poi scorgere tali progetti d’intervento nei programmi dei partiti politici, anche quelli che si sono avvicendati al potere nel corso degli ultimi decenni (vi hanno partecipato, in alcuni periodi, anche i più accesi sostenitori dello slogan di cui sopra). Alcuni ricercatori che collaborano con l’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, in un articolo per Lavoce.info, rilevano però che «a parte gli ultimi accordi stipulati dall’UE con i paesi del Nord Africa per controllare le partenze dei migranti, non c’è un reale impegno dei governi europei per interventi di vera cooperazione da realizzare nei paesi di provenienza». Segue poi una serie di proposte volte a dare un contenuto concreto alle promesse di sviluppo delle aree di provenienza dell’immigrazione verso il Sud dell’Europa. Sintetizzando: politiche attive come riqualificazione della manodopera o supporto all’imprenditorialità; investimenti in istruzione e formazione; migliori certificazioni di competenze; dotare i futuri migranti di conoscenze e competenze sulla migrazione (per esempio informazioni su lavoro, condizioni di vita e culturali e regole vigenti nei paesi di destinazione); incentivare la migrazione circolare (soprattutto per i lavori a bassa qualifica) e di ritorno (per i lavoratori più qualificati); l’impegno della diaspora può veicolare le sostanziali risorse finanziarie e cognitive delle comunità di esodo verso la promozione dello sviluppo nei paesi di origine; protezione dei minori lasciati indietro dai genitori migranti. Proposte del tutto condivisibili e di buon senso, ma siamo certi che se fossero davvero messe in pratica qualcuno (probabilmente gli stessi che parlano di aiuto-a-casa-loro) avrebbero da ridire sullo spreco di fondi pubblici per aiutare terre lontane, mentre gli italiani “fanno la fame”.

È bene, per completezza, citare un altro passaggio dell’articolo, in cui si ribadisce un’informazione che abbiamo ripetuto più volte su ZeroNegativo: «Sulla base dell’evidenza empirica, l’afflusso di migranti non appare ridurre sistematicamente i salari o i posti di lavoro in Europa o in America. Al contrario, gli immigrati sembrano contribuire alla crescita economica e demografica dei paesi di destinazione». Gli autori di questo virgolettato hanno studiato economia e si occupano da anni di studio dei flussi migratori, dunque non sono i soliti “buonisti” con cui certa politica ama prendersela. In Italia i governi tendono a concentrarsi sugli aspetti emergenziali dell’immigrazione. Un fenomeno che certamente va gestito, ma che può essere trasformato in una importante risorsa di sviluppo, sia per il nostro Paese sia per le comunità di partenza dei migranti.

Le iniziative in questo senso sono invece ferme, anche perché c’è ancora molto lavoro da fare in termini di accordi bilaterali con i Paesi d’origine per la gestione dei flussi migratori. Il sovraffollamento dei Cie (Centri di identificazione ed espulsione) italiani è aggravato dal fatto che, a fronte di un tasso di accoglimento delle richieste d’asilo molto basso (39,4 per cento, contro il 61,3 per cento della media UE), la maggior parte dei rimpatri non va a buon fine, perché manca l’accordo bilaterale che garantisca un rientro in sicurezza per il migrante (ovviamente la questione è molto critica per Paesi in guerra come la Siria, dove operare “in sicurezza” è al momento impossibile).

Così, dei circa 40mila migranti entrati in Italia senza permesso nel 2016, e 30mila decreti di espulsione firmati, solo 5mila persone sono state rimpatriate (dati del Ministero dell’interno citati da Lavoce.info). Il decreto del governo, emanato a febbraio, ha il merito di provare a rendere più rapida la risposta alle richieste d’asilo, snellendo anche le procedure di rimpatrio per chi non ne ha diritto. Senza accordi bilaterali, però, si continueranno ad affollare i Cie e a rimandare il problema. In attesa che qualcosa si muova, come cittadini e come associazioni, occupiamoci del lato umano, e magari cambiamo lo slogan in «aiutiamoli a farli sentire a casa loro».

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