Entro l’anno finirà l’emergenza umanitaria legata all’accoglienza dei profughi provenienti dal Maghreb. L’ha dichiarato il ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri nell’audizione alla Commissione parlamentare diritti umani. «C’è la volontà di chiudere l’emergenza immigrazione entro fine anno col massimo rispetto dei diritti delle persone -ha dichiarato-. Lo Stato non può continuare a farsi carico di questa situazione, vista anche la crisi economica: i migranti diventeranno indipendenti o saranno rimpatriati». Una formula poco chiara quella adottata dalla titolare del Viminale, che si può interpretare come un aut aut verso chi, tra le persone accolte per questioni umanitarie nei mesi scorsi, è riuscita a integrarsi (leggi: trovare un contratto di lavoro) e chi invece è ancora sotto assistenza dello Stato.

Idee chiare anche su Lampedusa, sulla quale si deciderà entro la fine del mese. «A giorni ci sarà un nuovo sopralluogo sull’isola per vedere se siamo in grado di garantire l’accoglienza temporanea ai migranti –ha detto Cancellieri-: valuteremo poi se il porto è o non è sicuro». E sempre entro la fine di maggio «verificheremo quanti migranti hanno avuto il permesso umanitario, a che punto siamo con le commissioni e i ricorsi, in modo da avere un piano per fronteggiare la situazione fino a fine anno, quando -ribadisce- si concluderà l’emergenza».

Ma quest’ultima non è fatta solo di sbarchi, ci sono anche problemi periodici, o meglio stagionali, da affrontare. Come quelli di cui si occupa Daria Storia, che lavora per Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni). Avvocato di 31 anni, napoletana, da un anno fornisce assistenza legale ai migranti nella Sicilia orientale, dove le questioni più ricorrenti riguardano il lavoro nell’agricoltura. «Per i migranti, anche quelli che hanno il permesso di soggiorno -spiega-, è molto difficile, se non impossibile, avere un contratto di lavoro. Sono persone che spesso arrivano da altre parti d’Italia, pronte a fermarsi qui per la raccolta delle patate, delle fragole, per poi muoversi in altre zone del Sud nei prossimi mesi. Molti sono costretti a lavorare in nero, a dormire in accampamenti di fortuna che si sono costruiti da sé nei campi, senza servizi igienici né docce. Oppure devono occupare casolari abbandonati, salvo poi esserne cacciati dal legittimo proprietario».

La tensione è alimentata dall’inevitabile guerra tra poveri che si innesca quando il lavoro è poco e mal pagato, con «i magrebini che accusano i subsahariani di farsi pagare troppo poco, e questi ultimi che a loro volta dicono la stessa cosa dei rumeni». La situazione economica e climatica del Paese non aiuta, e anche le ragioni dei contadini hanno un peso: «A gennaio -riprende Daria-, periodo di raccolta delle arance, gli imprenditori agricoli mi dicevano che piazzare all’ingrosso i propri agrumi significava metterli sul mercato a otto centesimi al chilo. Impensabile impiegare delle persone per raccoglierli e trarne un margine di profitto». E così le arance, paradossalmente, sono rimaste appese agli alberi. Qualcosa di simile sta accadendo ora con le patate. Questa situazione rientra a pieno titolo nell’alveo delle emergenze, staremo a vedere in che modo sarà affrontata dal governo.

E per i prossimi mesi, cosa aspettarci? «Difficile fare previsioni -conclude Daria-. Sto a quanto dicono i giornali, che da gennaio trasmettono un certo allarmismo in merito agli sbarchi. Al momento, in realtà, gli arrivi sono nella norma e gestibili. L’anno scorso è stata un’estate particolarmente rovente perché in Libia si combatteva una guerra civile. A Lampedusa ci siamo visti arrivare anche 1.400 persone in un giorno, è ovvio che con questi numeri il sistema dell’accoglienza si intasa e la situazione diventa drammatica. Ora ci sono accordi bilaterali per il controllo delle coste con il governo di transizione libico, così come con quello tunisino. Se, come ci aspettiamo, il ritmo degli arrivi tornerà a livelli normali, saremo in grado di dare accoglienza dignitosa e di qualità a tutti».