Con l’incendio di una delle palme piantumate in questi giorni in piazza Duomo, la civilissima Milano si è macchiata di un gesto che nulla ha a che vedere con la normale e legittima manifestazione del dissenso. Possono piacere o non piacere (che risultino indifferenti è difficile) ma il vandalismo, salvo rari e motivati casi nella storia, mette in evidenza soprattutto l’inciviltà di chi lo compie. Fatichiamo a comprendere anche alcune uscite di piccoli gruppi legati all’estrema destra milanese e alla Lega Nord. Ripetiamo, non perché non sia legittimo esprimere il proprio dissenso rispetto a un’opera pubblica, ma perché ci risulta difficile capire cosa c’entrino delle palme col problema dei migranti.
Parlare di “africanizzazione”, o dire che «Mancano sabbia e cammelli, e i clandestini si sentiranno a casa» vuol dire usare una strategia già vista troppe volte, ossia creare semplificazioni e confusione in maniera strumentale. Come se poi tutti i “clandestini” venissero da aree in cui cresce il tipo di vegetazione piantata nel giardino di Piazza Duomo.
Più che altro, se c’è qualcosa contro cui avrebbe più senso manifestare dissenso, potrebbe essere l’“americanizzazione” del centro di Milano, visto che il progetto in questione è finanziato dalla catena statunitense Starbucks, che ha vinto un bando del Comune. Il progetto è stato affidato all’architetto Marco Bay, diplomato al Parini, laureato al Politecnico. Un “prodotto” che più locale non si può, insomma. Un cervello che non ha scelto la fuga, né il localismo a tutti i costi, bensì l’apertura verso il mondo senza perdere il proprio radicamento nella città in cui è cresciuto. Probabilmente in questi giorni si sta chiedendo se ha fatto bene a restare.
Starbucks aprirà a metà del 2018 il suo primo punto vendita in città, e sarà un evento importante, qualunque cosa se ne pensi. Negli anni ’90 i primi fast food hanno “invaso” l’Italia, Paese che sembrava inespugnabile data la sua grande tradizione gastronomica e culinaria. Ben presto si vide che non di solo pane vive l’uomo, ma anche di hamburger, e così dopo Mac Donald’s sono arrivati Burger King e altre catene affini. Proprio le vetrine di Burger King si affacciano da anni sulla piazza che ora qualcuno dice “deturpata” dalle palme. Ci siamo abituati a Burger King, ci abitueremo anche alle palme. Il progetto, comunque, ha la durata di tre anni, dunque a meno di proroghe si tratta di un allestimento temporaneo, forse sostituito poi da piante più rassicuranti per il milanese poco incline alle stranezze. Il fatto, sottolineato dal Comune e da Bay, che giardini con palme e altre specie esotiche già comparissero nelle aiuole di piazza Duomo nel 1800, evidenzia quanto ormai la protesta sia sempre più un fatto “di pancia”, che non necessita di riflessione o informazione.
«Queste piante le potrei considerare come lombarde – ha detto Marco Bay –, perché vivono felici da più di cent’anni nei giardini segreti milanesi. E io ho voluto portare in città l’eleganza milanese di questi luoghi, eleganza che già Stendhal aveva ammirato e ricordato. Non ho fatto che compiere un gesto contemporaneo nel disporre le piante in questo modo. E poi è un allestimento che dura tre anni, non un giardino».
Ci abitueremo prima alle palme o a Starbucks? Sulla “colonizzazione” del nostro territorio da parte dei prodotti di caffetteria statunitensi, così diversi dalle abitudini italiane, la grande azienda sta procedendo con grande prudenza, visto che anche su questo i nostri usi sono molto radicati. C’è chi dice che probabilmente sarà un flop, perché l’offerta di Starbucks è troppo lontana dai gusti e dalle abitudini italiane. Ma è passato tanto tempo da quando l’american lifestyle ha iniziato a conquistare il mondo, e ha imparato ad adattarsi alle realtà in cui entra. Non per niente un anno fa Howard Schultz, capo di Starbucks, parlava così dell’ormai certa apertura a Milano: «Siamo in tutto il mondo, l’unico grande mercato dove non siamo presenti è l’Italia. È stata una scelta precisa, non mi sentivo pronto, non credevo ci fossimo ancora guadagnati il diritto di aprire qui […] È un sogno che coltivo dal 1983, ora posso dire che finalmente si sta realizzando. Il momento è arrivato sul serio, abbiamo lasciato il meglio alla fine. E dovevamo venire proprio qui a Milano, dove tutto è cominciato, la capitale del food, della moda, dello stile».
Diciamo che come inizio, legare il proprio nome a un progetto così controverso aiuterà di certo a non passare inosservati, se quello era l’intento. Come spesso accade, la reazione più intelligente e la più simpatica coincidono, in particolare nell’opinione espressa dal critico d’arte Philippe Daverio: «È un’idea che mi piace molto, soprattutto perché la banana è il simbolo della Repubblica attuale». Magari fra tre anni palme e banani non ci saranno più in piazza Duomo, e potremo ammirare un nuovo giardino di vegetazione rigorosamente autarchica, comodamente seduti a sorseggiare un Frappuccino® o un Doubleshot®.
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