Un gruppo di ricercatori del Center for healthy minds, dell’Università del Wisconsin-Madison, ha pubblicato in estate uno studio che si concentra sui possibili effetti della mindfulness sull’impulsività, dimostrando che non ci sono differenze significative tra chi pratica questa forma di meditazione e chi no. La mindfulness è una tecnica di meditazione molto popolare da alcuni anni a questa parte. Come spesso accade alle cose che diventano molto popolari, a un certo punto si pensa che possano essere utili per intervenire su qualsiasi problema, disturbo o patologia. Quasi sempre non è così.
Tre tipi di impulsività
Come spiega Cole Korponay, che ha condotto la ricerca, nella letteratura scientifica sono stati individuati tre diversi fattori che portano a compiere azioni impulsive: problemi nel regolare l’attenzione, nell’inibire le risposte motorie, e nel gestire la pianificazione o l’attesa. Visto che la mindfulness ha dimostrato di avere effetti benefici sui livelli di attenzione e la capacità di concentrazione, le risposte impulsive guidate da deficit di attenzione potrebbero essere influenzate positivamente dalla meditazione. Per quanto riguarda gli altri due fattori che guidano l’impulsività, non ci sono stati invece riscontri. Lo studio coinvolgeva persone con diversi livelli di esperienza di mindfulness (in termini di ore di pratica alle spalle), assieme a un gruppo di controllo senza alcuna esperienza di meditazione. Nessuna variazione significativa è stata rilevata tra un gruppo e l’altro. «Siamo rimasti sorpresi – ha spiegato Korponay – perché, vista l’enfasi della mindfulness sul rimanere non-reattivi e in osservazione rispetto ai propri pensieri ed emozioni, ci saremmo aspettati che tale pratica contribuisse a ridurre l’impulsività».
Metodologia
Lo studio è interessante perché in precedenza ci si era basati in prevalenza sull’auto-valutazione dei partecipanti, i quali indicavano una correlazione tra la maggiore esperienza di mindfulness e la riduzione di impulsività. In questo caso i quattro gruppi di persone (non praticanti, principianti, meditatori di livello medio ed esperti) sono stati seguiti per oltre otto settimane, durante le quali sono stati sottoposti a diversi tipi di test da completare in laboratorio. Tra le varie prove, una consisteva per esempio nel premere (o non premere) un bottone in risposta a suoni specifici, per valutare l’impulsività motoria. Oltre a valutare la prontezza (e la correttezza) nella reazione, i ricercatori hanno monitorato l’attività cerebrale dei participanti con la tecnica di imaging a risonanza magnetica (MRI). Anche qui non sono state osservate differenze significative nei comportamenti né nella struttura e funzioni cerebrali. Questo suggerisce che probabilmente, per intervenire su problemi di impulsività non correlata a disturbi dell’attenzione, la mindfulness non è la soluzione migliore. Lo studio presenta ovviamente dei limiti, visto che è stato condotto su adulti in buona salute. Sarebbe interessante proseguire la ricerca su persone di diverse età e che presentano effettivamente dei disturbi legati all’impulsvitià.
(Foto di Simon Migaj su Unsplash)