Il 20 novembre 1989 l’Assemblea generale dell’Onu approvava la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, un testo composto da 54 articoli, recepito dall’Italia nel 1991. Lo scorso 20 novembre se ne è ricordata l’entrata in vigore con la 21esima Giornata mondiale dell’infanzia.
Il testo costituisce un’importante riferimento normativo per tutti i Paesi che intendano legiferare in materia, oltre a essere un grosso incentivo a muoversi in questo senso. Questi i principi che ne innervano il contenuto: non discriminazione (i diritti devono essere garantiti a tutti i minori senza distinzione di razza, sesso, religione, lingua, opinioni dei genitori); superiore interesse (in ogni legge, provvedimento, iniziativa pubblica o privata e in ogni situazione problematica, l’interesse dei bambini ha priorità); diritto alla vita e allo sviluppo (gli Stati devono impegnare il massimo delle risorse disponibili per tutelare la vita e il sano sviluppo dei bambini); ascolto delle opinioni (in tutti i processi decisionali che li riguardano è necessario ascoltare o interpretare la loro voce).
Il nuovo Atlante dell’infanzia diffuso da Save the children in occasione dell’ultima Giornata dell’infanzia, descrive una situazione tutt’altro che facile per i bambini nel nostro Paese (qui il testo integrale). «Sono 10 milioni 229 mila i minori in Italia, pari al 16,9% del totale della popolazione: di essi 1.876.000 vivono in povertà e il 18,6% in condizione di deprivazione materiale», dichiara l’associazione.
Un gruppo cospicuo è costituito da bambini di origine straniera: quasi 1 milione, di cui 572mila nati in Italia, le cosiddette seconde generazioni. Alle quali, ricordiamo, la legge italiana non concede facilmente la cittadinanza. Il presidente Giorgio Napolitano ha di recente richiamato l’attenzione su questo tema: «Mi auguro che in Parlamento si possa affrontare anche la questione della cittadinanza ai bambini nati in Italia da immigrati stranieri. Negarla è un’autentica follia, un’assurdità. I bambini hanno questa aspirazione». Nel nostro Paese vige infatti l’ius sanguinis, il diritto di sangue. Ossia, se i padri ottengono la cittadinanza (dopo dieci anni di residenza legale) questa si trasmette anche ai figli. In altri Paesi prevale invece (o comunque è contemplato) l’ius solis, il diritto acquisito per nascita sul territorio.
«Il quadro dell’infanzia che emerge dall’Atlante non può non preoccuparci, soprattutto laddove si vanno ad analizzare le risorse e le misure messe in campo a tutti i livelli in favore dei bambini e degli adolescenti -ha detto il direttore generale di Save the Children Italia, Valerio Neri-. C’è, è vero, un nuovo Piano infanzia varato nel 2010, con contenuti importanti. Ma è solo sulla carta, privo com’è di risorse finanziarie, di obiettivi di avanzamento e di sistemi di monitoraggio. Un’ulteriore questione è la mancanza di dati e conoscenze aggiornate su una serie di problematiche rilevanti relative all’infanzia in Italia, come per esempio l’abuso, le violenze».
L’Atlante appena pubblicato costituisce uno strumento importante, che speriamo sarà sfruttato dalle amministrazioni locali e dal Parlamento. Intanto, segnaliamo eccezioni significative alla situazione generale, come il fondo per i bambini vittima di maltrattamenti stanziato dal Comune di Milano e le nomine di Rosangela Paparella e Luigi Fadiga a Garanti regionali per l’infanzia e l’adolescenza rispettivamente in Puglia ed Emilia-Romagna, avvenute proprio in questi giorni. Nomine che si attendevano da tempo, e che mancano in molte altre regioni. Dal 1988 al 2011 è stata infatti gradualmente istituita la figura del garante con leggi regionali, ma poi solo in cinque casi si è provveduto ad affidare l’incarico (Veneto, Lazio, Marche, Molise, Calabria oltre alla Provincia autonoma di Bolzano).