Le associazioni che si occupano di volontariato e assistenza a disabili, senza dimora e altri soggetti vulnerabili hanno espresso preoccupazione per l’impatto che potrebbero avere alcune delle misure di contenimento dell’epidemia di coronavirus. Due tra le maggiori federazioni nazionali, Fish e Fand, hanno avuto un incontro con l’Ufficio per le politiche in favore delle persone con disabilità presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri in cui hanno segnalato vari problemi. Sul sito di Fish sono stati pubblicati alcuni passaggi della nota che l’Ufficio ha indirizzato al capo del Dipartimento per la Protezione civile e all’Ufficio di gabinetto del Ministero della Salute. Vediamo i passaggi principali.

I problemi per le persone con disabilità

  1. La prima preoccupazione riguarda la sospensione, prevista dal decreto del 23 febbraio, delle attività pubbliche e private, con l’eccezione dei servizi essenziali e di pubblica utilità, secondo le modalità diversi per territorio. «Potrebbero rientrare, tra i servizi essenziali, i cosiddetti Centri diurni per disabili, i quali però a causa della natura delle prestazioni erogate sono caratterizzati da un alto tasso di frequentazione (operatori, familiari e soggetti terzi). Le persone con disabilità, specie intellettive e del neurosviluppo, non sempre sono in grado di assumere comportamenti consapevoli ed idonei ad evitare o ridurre i rischi di contagio. Trattandosi, inoltre, di persone con particolari patologie, correlate alla loro disabilità, rappresentano una popolazione maggiormente esposta al contagio. Ciò premesso, è quindi da valutare se comprendere i Centri diurni nelle aree di focolaio tra le attività soggette a sospensione. Contemporaneamente però si renderebbe necessaria un’azione compensativa di supporto domiciliare per gli utenti dei Centri e i loro familiari, in modo da non far venire meno i servizi di assistenza essenziali».
  2. «Lo stato di emergenza comporta l’adozione di misure straordinarie, di “quarantena”, che potrebbero indebolire la rete di assistenza, supporto e protezione destinata alle persone con gravissime disabilità o con forme di non autosufficienza che vivono al proprio domicilio. Fra questi rientrano spesso soggetti con genitori molto anziani, o che vivono in assenza di una adeguata rete di protezione familiare. Tali soggetti, in caso di quarantena, potrebbero avere maggiori difficoltà ad autogestirsi e a seguire le istruzioni delle Autorità. Sarebbe quindi opportuno, nei limiti che la situazione di emergenza consente, assicurare il maggior possibile coordinamento fra le strutture del Sistema Nazionale di Protezione Civile su base locale, le Asl, le strutture di assistenza e le associazioni su base locale, al fine di garantire il censimento, il monitoraggio e il supporto per tali casistiche».
  3. L’altra preoccupazione riguarda l’attivazione dei numeri verdi per le segnalazioni, inutilizzabili da parte di chi ha problemi all’apparato fonatorio o acustico: «Riteniamo necessaria l’attivazione di canali di comunicazione e di assistenza al cittadino che consentano il superamento delle barriere alla comunicazione. In particolare: i numeri verdi telefonici che sono stati istituiti a livello centrale e regionale non possono essere utilizzati da persone sorde o con ipoacusia. Pertanto andrebbe affiancata una modalità di comunicazione via email per questa categoria di persone. Inoltre andrebbero previste traduzioni delle principali comunicazioni di emergenza in Lingua dei Segni Italiana per consentire l’accesso alle informazioni utili anche ai sordi segnanti».

Poveri e senza dimora

C’è preoccupazione anche per l’accessibilità ai servizi destinati a poveri e senza dimora nell’area in cui è stato individuato il primo caso di coronavirus in Italia, ossia la provincia di Lodi. «Per molte persone fragili la nostra mensa o i nostri servizi rappresentano la casa. E siamo preoccupati perché ora la trovano chiusa», ha detto Carlo Bosatra, direttore della Caritas di Lodi. «A Lodi – prosegue l’articolo su Redattore Sociale –, che è zona gialla come il resto della Lombardia, per ora la Caritas diocesana ha chiuso la mensa per i poveri e distribuisce solo il pranzo al sacco. Rimane chiuso l’ambulatorio medico, anche perché molti dei medici volontari sono ora impegnati negli ospedali. Chiuso anche il centro diurno, dove chi vive in strada poteva fare colazione e trovava educatori ed operatori per aiuti di vario genere. Nei dormitori (a Lodi sono tre), invece, la vita va avanti come al solito, ma ogni ospite deve seguire le norme igieniche indicate dal Ministero della salute a qualunque cittadino. “In più ogni tanto misuriamo la temperatura corporea degli ospiti, è una forma di tutela anche nei loro confronti”. Il centro di ascolto rimane aperto, ma con modalità diverse: può accedere solo una persona alla volta».

(Foto di Franck V. su Unsplash)