I ricercatori del Laboratory of Agent-Based Social Simulation (Labss) del Cnr-Istc (Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Consiglio nazionale delle ricerche) hanno utilizzato un modello statistico per analizzare l’efficacia delle politiche di contrasto alla pratica mafiosa della riscossione del “pizzo”. La ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica Complexity, si inserisce all’interno del progetto Gloders (Global Dynamics of Extortion Racket Systems), finanziato dall’Unione europea e coordinato dalla University of Surrey, Regno Unito.
L’obiettivo dello studio era cercare di capire l’efficacia di diverse strategie di contrasto al racket mafioso, confrontando tre principali strumenti: quello “dall’alto” (cioè da parte dello Stato, con un piano integrato di interventi legali, giudiziari e di polizia noto in Italia come “antimafia”), quello “dal basso” (azioni promosse e coordinate da associazioni e gruppi di cittadini, basate su pratiche di resistenza alle intimidazioni mafiose e di cambiamento culturale nella popolazione) e quello “integrato” (che mette assieme i precedenti).
L’esperimento è stato circoscritto alla città di Palermo e alla pratica del “pizzo”, con cui la mafia chiede a imprenditori e gestori di attività commerciali il pagamento di una somma di denaro in cambio della “protezione” da eventuali furti e aggressioni (ordinati dalla stessa organizzazione criminale, in caso di mancato pagamento). Gli attori individuati inseriti nel modello erano lo stato, la mafia, gli imprenditori, la popolazione in generale e le ong impegnate contro la mafia. I diversi approcci di intervento sono stati testati all’interno del modello, mostrando risultati simili a quelli registrati nella realtà.
Tali simulazioni possono offrire interessanti indicazioni, seppure siano necessarie ulteriori ricerche per rendere il modello più efficiente (per quanto complesso, infatti, quest’ultimo è una semplificazione del mondo reale, e ha quindi ampi margini di miglioramento). I parametri di riferimento su cui testare le politiche d’intervento sono stati due: il numero di mafiosi incarcerati e l’efficienza dello Stato nel procedere agli arresti. I tre approcci hanno dato risultati diversi, che portano alla conclusione che quello integrato sia il più efficace, seppure con alcuni accorgimenti.
L’approccio legale, ossia il repertorio standard del “toolkit antimafia” dello Stato, è molto importante perché in grado di aumentare sensibilmente il numero di criminali incarcerati. L’effetto è dunque quello di ridurre la pressione della mafia sulla popolazione, che subirà meno richieste di pagamento. Questo approccio però, anche se attuato per lunghi periodi, non contribuisce a cambiare la cultura generale della popolazione (uno dei fattori che rendono la criminalità organizzata un problema così difficile da eradicare in Italia). Se si interrompono gli interventi, dunque, gli effetti svaniscono in breve tempo.
Sul clima culturale interviene invece molto bene un approccio più “sociale”, guidato da ong e gruppi di cittadini che decidono di opporsi pacificamente alle pratiche mafiose. Proprio per la sua natura, però, questo approccio da solo ha dei forti punti deboli, in quanto non favorisce un incremento delle incarcerazioni di criminali, e inoltre fa aumentare drammaticamente le ritorsioni e le violenze contro la cittadinanza da parte delle organizzazioni mafiose. Se messo in pratica senza un adeguato supporto da parte dello Stato, è un intervento decisamente pericoloso per la sicurezza delle persone, soprattutto se applicato in zone dove la presenza delle forze dell’ordine ha scarso impatto.
L’approccio combinato tra Stato e popolazione è quello che ha gli effetti più rilevanti. Il contributo di ong e associazioni permette un cambiamento culturale di lungo periodo e una maggiore efficienza alle azioni di polizia, mentre queste proteggono la popolazione dalla possibilità di ritorsioni. L’unico errore che si può fare nel procedere in questa direzione è interrompere troppo presto gli interventi. Il modello ha infatti mostrato che se si sospendono all’improvviso politiche di questo tipo, in pochissimo tempo i parametri del mercato del racket tornano ai livelli iniziali, e anzi possono portare a un periodo di maggiore violenza. Per dirla con una formula ben nota: bisogna crederci fino in fondo.
(Foto di Charles Deluvio su Unsplash)