Ha generato un dibattito piuttosto vivace la scelta di Twitter e Facebook di limitare, prima in maniera limitata, poi in modo più deciso, l’attività del presidente degli Stati Uniti Donald Trump sulle proprie piattaforme. Nella vicenda sono intervenute anche Amazon, Apple e Google, bloccando le attività di un social network di nome Parler, più permissivo in merito alle norme di comportamento. Prima Apple e Google hanno tolto la app dai loro store, impedendo agli utenti di scaricarla, poi Amazon, che ospita sui suoi server il social network, l’ha messo del tutto offline. La vicenda è nota, Donald Trump ha sobillato i suoi sostenitori, invitandoli a marciare su Washington in direzione del Congresso degli Stati Uniti. La marcia (tutt’altro che improvvisata) è effettivamente avvenuta mercoledì 6 gennaio, ed è culminata nella violenta irruzione di centinaia di manifestanti nella massima istituzione americana, con danni, decine di feriti, 5 morti (4 manifestanti e un poliziotto) e decine di arresti. Trump per molte ore non ha preso le distanze dagli insorti, chiedendo loro di “tornare a casa” ma chiamandoli “patrioti”. Su pressione dei suoi consiglieri ha poi pubblicato un video dai toni meno concilianti, ma la sua attività su Twitter (il social network su cui ha costruito la sua comunicazione personale, e su cui è solito pubblicare raffiche di tweet ogni giorno), sospesa per qualche ora a causa dei suoi messaggi controversi, era poi ripresa continuando a sostenere la tesi, del tutto infondata, di una frode alla base delle recenti elezioni presidenziali vinte dallo sfidante Joe Biden. Twitter ha dunque deciso di sospendere a tempo indeterminato (cioè in pratica di cancellare) il profilo di Donald Trump, mentre Facebook annunciava di averlo sospeso per diversi giorni. Per la verità i due social network sono stati attivi nelle ore successive nel rimuovere molti altri account: «Twitter ha sospeso da venerdì scorso più di 70mila account – si legge su Wired – che erano principalmente dedicati alla condivisione di contenuti complottisti di QAnon, dopo che i sostenitori di Trump hanno preso d’assalto il Campidoglio degli Stati Uniti».

Troppa libertà, o troppo poca?

Alcuni sono preoccupati che un’azione del genere sia un limite inaccettabile alla “libertà d’espressione”. Altri invece lamentano il fatto che la decisione di rimuovere l’account di Donald Trump, per quanto condivisibile, sia tardiva. Con i suoi circa 88 milioni di follower, Trump era responsabile di un pezzo importante del traffico di Twitter, e nonostante la piattaforma abbia preso delle misure negli anni per limitare la diffusione di alcuni suoi tweet (che riportavano informazioni false o erano giudicati “pericolosi”), avrebbe potuto muoversi prima per evitare che la situazione prendesse la piega che ha preso. La questione è talmente ampia e sfaccettata che è difficile schierarsi in maniera netta da una parte o dall’altra. In merito alla prima critica, è pur vero che Twitter, Facebook e simili sono spazi creati e gestiti da compagnie private, che sono libere di decidere cosa farne. Nessuno è obbligato a usarle e i suoi proprietari non possono essere considerati alla stregua di editori. Al contempo, però, è anche vero che data la quantità di utenti che ogni giorno usano queste piattaforme e la visibilità che hanno alcuni profili (per esempio quello di Trump), che spesso sono usati come fonte anche dai media tradizionali che ne riportano i contenuti come farebbero con le dichiarazioni rese in conferenza stampa, in qualche modo sono qualcosa di simile a un editore. La seconda critica, ossia il fatto che si tratti di misure tardive, centra una questione più difficile da contestare. Tutte le piattaforme in questione sono gratuite per gli utenti, almeno in termini economici. In cambio, chi si iscrive cede una mole enorme di dati personali che le compagnie in questione trasformano in utili, con grandi margini di profitto. Non pretendiamo qui di esaurire il dibattito, ma suggeriamo alcune riflessioni di chi si interroga su tali questioni da molto tempo, e che trova difficile, se non impossibile, uscirne con un’idea chiara di come dovrebbero andare queste cose. Qui Luca Sofri sottolinea due questioni: da un lato la differenza tra amministrazione della giustizia e funzione di polizia sui social media, dall’altro il fatto che, se è relativamente facile criticare l’attuale sistema di gestione, non lo è altrettanto proporre soluzioni alternative. Qui un’altra riflessione di Sofri risalente a maggio 2020, ma che avrebbe potuto essere scritta l’altro giorno. Un altro che da tempo ragiona su questi temi è Massimo Mantellini, che qui affronta i recenti sviluppi, per punti.

(Foto di John Cameron su Unsplash)

Se sei arrivato fin qui

Magari ti interessa iscriverti alla nostra newsletter settimanale. Ricevereai il riepilogo delle cose che pubblichiamo sul blog, e se succede qualcosa di importante che riguarda l’associazione lo saprai prima di tutti.

Un paio di clic e ci sei