di Federico Caruso

L’epoca della moderazione è finita. Magari tornerà, un giorno, ma per il momento la moderazione non è più un concetto vincente. Non è il solito commento indignato di chi guarda a certa comunicazione sui social network e pensa “ma dove siamo siamo finiti?”, leggendo i peggiori commenti dei peggiori utenti. Quella è una parte del fenomeno, che però è cominciato molto prima. Ce ne stiamo accorgendo solo ora, anche grazie ai social network e al modo in cui vengono usati, ma il mal di pancia che scatena certe esternazioni viene da molto prima.

Pensiamo alla politica. Negli scorsi decenni, la convergenza verso il centro è stata un tratto comune delle destre e delle sinistre più o meno in tutta Europa. La retorica del riformismo, del buon senso, del fare le cose un po’ alla volta, senza lasciare indietro nessuno e dandosi una mano vicendevolmente (cioè i principi che fondano e tengono insieme l’Unione europea), non piace più.

Se pensiamo all’Italia della fine del secolo scorso, la novità più dirompente è l’ingresso in politica di Silvio Berlusconi e la nascita di Forza Italia. Un fenomeno inedito negli aspetti “di contorno” (la particolarità del personaggio, la struttura verticistica del partito, ecc.), ma che si allineava nei principi a un’idea di riformismo moderato e liberale. Berlusconi si creò un nemico da sconfiggere («i comunisti!») che già allora non esisteva più. O meglio, gruppi più o meno organizzati di comunisti c’erano e continuano a esserci, ma la sinistra era già ampiamente diventata centro­-sinistra, così come la nuova entità politica si presentava come centro-destra. Le formazioni più estreme facevano talvolta da ago della bilancia, ma si trovavano comunque in uno spazio minoritario. Per inciso, la Lega Lombarda era già diventata Lega Nord, non parlava più di secessione, scendeva a compromessi con Forza Italia per governare. Da partito “antisistema”, qual era alla sua nascita nel 1982, era confluito tra i moderati.

Quello delle ideologie estremiste che, una volta al potere (o proprio per arrivarci), smussano i propri spigoli, era un copione che conoscevamo, col quale sapevamo avere a che fare. Il malcontento però covava, e aspettava solo le condizioni per emergere. Per anni si sono fatte accettare ai cittadini riforme che non approvavano (a prescindere dal grado di complessità e quindi di comprensione che l’elettorato poteva avere), in nome della moderazione. Le migliori intenzioni delle promesse elettorali dovevano sempre fare i conti con la realtà, e i politici spiegare ai cittadini che avere tutto e subito non era possibile.

“Un giorno capirete, e ci ringrazierete”, sembrava essere il messaggio sottinteso da una classe politica fin troppo sicura di sé e della propria capacità di interpretare la realtà. «Il seguito prova che aveva torto», recita la canzone. I primi segnali evidenti di questa crisi della moderazione sono arrivati con Brexit. Subito dopo, peraltro, il malconcio partito laburista ha deciso di abbandonare la linea moderata inaugurata da Tony Blair, per affidarsi al socialista Jeremy Corbyn.

Da Brexit è cominciata una fase in cui si può dire l’indicibile, pensare l’impensabile, e dove concetti quali “inaudito” e “senza precedenti” non hanno più alcun peso. Il secondo momento forte è stata la campagna elettorale di Donald Trump negli Stati Uniti. Prima ancora della sua elezione, Trump ha dimostrato che è possibile dire una cosa e negarla il giorno dopo, accusare qualcuno senza prove o inventandosi bugie (o anche citando teorie del complotto) senza pagarne le conseguenze. Ma la moderazione si sta esaurendo anche a livello di sistema. Le primarie del partito democratico nel 2016 si sono tenute tra Hillary Clinton, autorevole e rispettata “donna dell’establishment”, e Bernie Sanders, sconosciuto (almeno allora) senatore del Vermont che si definisce socialista. Ha vinto Clinton, ma per 55 a 43 (in punti percentuali), non una vittoria schiacciante. Anche il solco tra Repubblicani e Democratici è sempre più ampio. Il centro si assottiglia, gli estremi si ispessiscono.

Qualcosa di simile sta accadendo anche in Italia, con i due partiti più lontani dal concetto di “moderazione” che hanno spazzato via la concorrenza ancora prima di stringere un’alleanza. Forse il problema non è che gli italiani sono diventati all’improvviso razzisti, egoisti, populisti, sovranisti. Forse, prima ancora, le persone hanno smesso di credere al fatto che chi li governava ci stesse davvero capendo qualcosa. “Un giorno capirete, e ci ringrazierete” non funziona più, se non c’è fiducia in chi lo dice. Anche per questo l’argomento della competenza non ha alcuna presa. Se quelli che “avevano studiato” non hanno trovato il modo di consegnarci un mondo migliore rispetto a quello in cui vivevano i nostri genitori, allora proviamo con qualcun altro. Che magari ha studiato meno, ma potrebbe avere intuito qualcosa in più, con una prospettiva diversa. Ognuno, secondo le sue convinzioni e le sue preferenze, faccia le proprie riflessioni.

Si può essere fiduciosi o preoccupati, ma sarebbe un errore pensare che questa sia solo una breve transizione prima del ritorno della moderazione e del riformismo: della normalità. Siamo in una fase nuova, dove tutto può accadere, chi cerca risposte nelle vecchie formule è destinato a un’eterna, frustrante sconfitta.

(Foto di Clem Onojeghuo su Unsplash)