Abbiamo parlato più volte delle recenti evoluzioni nell’ambito delle pubblicazioni scientifiche. Un tema diventato particolarmente rilevante da un anno a questa parte, con la diffusione della pandemia di COVID-19. Se ha avuto alcuni effetti positivi, accelerando un processo di progressiva disponibilità delle riviste scientifiche a distribuire i contenuti in modalità open access, la pandemia ha però anche esacerbato una tendenza comune a tutto il mondo scientifico: quella a pubblicare molti articoli, anche non particolarmente rilevanti, al solo fine di rimpolpare il curriculum dei ricercatori e quindi garantire loro un avanzamento di carriera.

Come ha spiegato Benjamin Mazer sull’Atlantic, le università valutano le capacità dei ricercatori non tanto in base alla qualità delle loro scoperte, quanto al numero di articoli che pubblicano su riviste accademiche, e dal prestigio di queste riviste. Spesso gli scienziati scherzano (e si lamentano) sul fatto che questa pressione incessante a gonfiare il proprio curriculum spesso porti a pubblicazioni poco accurate o originali. Quando Randall Munroe, creatore del fumetto XKCD, ha esposto questo problema in una recente vignetta, ha catturato l’attenzione degli scienziati, spingendo molti di loro a crearne versioni specifiche per le proprie discipline. L’occasione ha alimentato il dibattito interdisciplinare sulla questione.

Il fumetto in questione, come sempre accade con XKCD, è un semplice disegno in bianco e nero con una battuta nerd. Nella fattispecie, questo mette in fila una tassonomia di 12 tipologie di articoli scientifici, presentate in una griglia. “Il sistema immunitario è di nuovo in azione”, recita il titolo di un articolo. “Il mio collega si sbaglia e io posso finalmente provarlo”, titola un altro. La gag rivela come la letteratura di ricerca, quando spogliata del suo gergo, sia altrettanto suscettibile di ripetizione, banalità, ruffianeria e meschinità di altre forme di comunicazione. La semplicità infantile del fumetto, tuttavia, ha offerto agli scienziati l’occasione per criticare e celebrare allo stesso tempo il proprio lavoro.

Nel giro di un paio di giorni, il sociologo Kieran Healy aveva creato una versione della griglia per il suo settore. I suoi titoli includevano “Questo sembra molto strano e brutto, ma è perfettamente razionale quando sei povero” e “Ho un approccio SOCIOLOGICO, a differenza di ALCUNI”. Anche gli epidemiologi sono saliti saliti sul carro: “Non abbiamo davvero idea di cosa stiamo facendo: ma ecco alcuni modelli!”. Anche gli statistici si sono fatti prendere la mano (“Un nuovo robusto stimatore di varianza di cui nessuno ha bisogno”), così come i biologi (“Nuovo microscopio! Adesso il tuo è obsoleto”) e i giornalisti scientifici (“I lettori amano gli animali”).

Evidentemente il fumetto di Munroe ha colpito nel segno, come ha fatto notare Vinay Prasad, epidemiologo e critico della ricerca medica: «Molti articoli non servono a nulla: non portano avanti alcun programma di ricerca, possono essere non accurati, non hanno senso e sono poco letti. Ma sono necessari per fare carriera».

Cos’è successo con il COVID-19

In medicina, spiega Mazer, il COVID-19 ha reso più semplice pubblicare articoli molto rapidamente. Le riviste più prestigiose – The New England Journal of Medicine, il Journal of the American Medical Association, e The Lancet – tradizionalmente riservano il proprio spazio a studi clinici estesi e costosi. Con la pandemia, però, hanno iniziato ad accettare rapidamente studi basati su una manciata di pazienti. Nel tentativo di mettere in salvo la propria carriera, alcuni scienziati hanno iniziato a inserire il COVID-19 in ricerche che trattavano d’altro.

Sono già stati pubblicati ben 200.000 articoli sul COVID-19, di cui solo una piccola parte sarà mai letta o usata per applicazioni pratiche. È difficile sapere in anticipo quali dati si riveleranno più utili in una crisi sanitaria senza precedenti ma, secondo il medico e ricercatore Michael Johansen, «Le pubblicazioni su COVID-19 sembrano essere rappresentative della letteratura scientifica in generale: pochi articoli veramente importanti e un mucchio di roba che non sarà o non dovrebbe essere letta». Gli studi che confermano l’efficacia dei vaccini, per esempio, possono salvare milioni di vite. Ma la maggior parte delle pubblicazioni possono al più offrire ai giornali la possibilità di fare un titolo, non certo contribuire allo sviluppo di una cura medica.

(Foto di Annie Spratt su Unsplash )

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