In seguito al superamento della soglia delle 500 mila firme per la presentazione di un referendum abrogativo che riformerebbe in parte la legge che determina il modo in cui si ottiene il diritto alla cittadinanza, si sta riparlando di questo tema che ciclicamente torna a far parte del dibattito.
L’Italia è storicamente un Paese di emigrazione. Fino agli anni ’90, le persone che emigravano erano più numerose di quelle che immigravano. Per questo motivo la cittadinanza italiana segue un modello orientato alla discendenza, che trascende i confini nazionali: anche i nati all’estero sono riconosciuti come italiani, purché abbiano un antenato italiano.
La cittadinanza si eredita quindi per discendenza, attraverso il principio dello ius sanguinis (diritto di sangue). Al contrario, il luogo di nascita e la residenza da soli sono pressoché irrilevanti: ecco perché tante persone, pur avendo vissuto tutta la loro vita in Italia, devono presentare domanda di cittadinanza anziché ottenerla semplicemente alla nascita.
Negli anni ci sono stati numerosi tentativi di introdurre in Italia una forma di cittadinanza per nascita (ius soli, diritto di suolo), ma nessuno ha avuto successo. A livello politico, la decisa opposizione della destra e il tiepido sostegno della sinistra hanno fatto naufragare ogni tentativo.
Una delle argomentazioni portata dai politici di destra che hanno bloccato la riforma è che l’opinione pubblica italiana non voglia cambiare la legge. Una ricerca condotta dalla ricercatrice Victoria Donnaloja, che ne scrive su The Conversation, non conferma però questa ipotesi. Nello studio, Donnaloja e un coautore hanno chiesto a 1.521 persone di indicare a chi, tra diversi profili ipotetici di bambini, avrebbero preferito concedere la cittadinanza italiana.
Hanno quindi mostrato a ciascun intervistato dieci profili di bambini nati in Italia i cui genitori erano immigrati e che si differenziavano tra loro per 11 attributi, come il Paese di origine, lo status lavorativo e la squadra per cui tifavano alle Olimpiadi. Hanno poi chiesto agli intervistati di indicare per ogni profilo se erano favorevoli o contrari alla concessione della cittadinanza al bambino. Questo schema ha permesso loro di individuare quali sono i fattori che determinano il sostegno o l’opposizione a una potenziale riforma.
I ricercatori hanno scoperto che l’opinione pubblica, secondo il campione analizzato (rappresentativo della popolazione nazionale in termini di genere, età, area di residenza e livello d’istruzione), è per lo più favorevole alla concessione della cittadinanza ai figli di immigrati nati in Italia, anche se a determinate condizioni. Solo il 10% è contrario a qualsiasi tipo di cittadinanza per nascita. La maggior parte degli italiani è più favorevole alla cittadinanza per nascita per i bambini se i loro genitori immigrati lavorano, hanno un permesso di soggiorno e vivono in Italia da più di cinque anni.
Gli italiani attribuiscono molta più importanza a questi criteri rispetto ad altri come l’etnia e la padronanza della lingua italiana. Sebbene gli elettori di destra fossero meno propensi a concedere la cittadinanza rispetto a quelli di sinistra, la maggior parte di loro lo ha fatto, a condizione che i genitori dei bambini avessero vissuto nel Paese per cinque anni e avessero la residenza permanente.
Lo studio, quindi, suggerisce che esiste una base elettorale per una riforma, che avrebbe un impatto significativo per la vita quotidiana di centinaia di migliaia di bambini. Tutti i bambini in Italia hanno accesso all’assistenza sanitaria d’emergenza e all’istruzione, ma i loro genitori devono essere residenti legali per avere pieno accesso al sistema sanitario, ad esempio. I non cittadini possono anche essere allontanati dal Paese, a differenza dei cittadini.
Altri importanti diritti associati alla cittadinanza sono il diritto alla libera circolazione all’interno dell’Unione Europea, alla protezione da parte dello Stato nei Paesi stranieri e a rappresentare il Paese nelle competizioni sportive.
Ma soprattutto, questi bambini si identificano come italiani, ma non si sentono riconosciuti come tali. La cittadinanza rappresenta per loro il consolidamento e il riconoscimento della loro identità italiana.
La ricerca è chiara anche sui benefici più ampi della concessione della cittadinanza ai bambini, scrive Donnaloja. Quando viene concessa la cittadinanza, i bambini vanno meglio a scuola e i loro genitori si integrano più facilmente.
Germania, Portogallo, Belgio, Irlanda e Regno Unito hanno adottato leggi sullo ius soli condizionato in varie forme. Francia e Grecia lo hanno fatto in modo più limitato, mentre in altri Paesi, come la Svezia, esistono percorsi di cittadinanza per i figli degli immigrati già in tenera età.
L’Italia, conclude The Conversation, dovrebbe riconoscere di essere un Paese di immigrazione e che il suo successo sarà determinato dalla capacità di reimmaginare cosa significa essere un cittadino.
(Foto di Bernard Hermant su Unsplash)
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