Sul tema dei paradisi fiscali, di cui ci siamo occupati recentemente, è necessario fare chiarezza su un punto: non si tratta di Paesi “canaglia” avversi alle grandi potenze economiche mondiali. Il problema del trattamento fiscale lieve e dell’altissima libertà di azione e anonimato per le aziende si verifica in molti Paesi europei e statunitensi, talvolta passando attraverso territori a essi collegati per cancellare le tracce di avvicinamento dei capitali. Per spiegare il fenomeno prendiamo uno stralcio da un articolo pubblicato lunedì da finansol.it: «Da qualche tempo l’Unione europea, nell’ambito di una politica di lotta all’evasione fiscale e al riciclaggio di denaro, sta cercando di spingere l’Austria a togliere la possibilità per gli stranieri di mantenere nel paese il segreto sui loro conti bancari. Ora il ministro delle finanze austriaco, Frau Maria Fekter, stanca delle accuse, ha perso la pazienza, rilasciando il 10 aprile una dichiarazione nella quale, forse anche peraltro a corto di altri argomenti, afferma che non si può chiedere una cosa simile al suo paese senza contemporaneamente domandare alla Gran Bretagna di smetterla di essere un gigantesco paradiso fiscale aperto a tutti.
In effetti, questo avviene in particolare, come ha ricordato l’importante politico austriaco, attraverso delle operazioni che passano attraverso le Isole del Canale, le Isole Vergini, le Cayman, Gibilterra, senza parlare per alcuni aspetti della stessa City di Londra. […] Incidentalmente la stessa Fekter ha infine anche sottolineato che gli Stati Uniti permettono tranquillamente da sempre il riciclaggio del denaro sporco in stati quali il Delaware e il Nevada, senza che quasi nessuno protesti». Molta ipocrisia, insomma, nel chiedere chiarezza da una parte, consci di difendere grandi aree di opacità dall’altra, in casa propria. Ne ha fatto le spese anche Cipro, a cui è stato imposto di abrogare la regola per cui una società poteva essere gestita da un consiglio di amministrazione di soci anonimi, mentre questo in Gran Bretagna continua a essere possibile.
Ma c’è un altro soggetto, che raramente viene nominato, che gioca un ruolo fondamentale in questa vicenda: l’Olanda. Il cantante degli U2 Bono, David Bowie, i Rolling Stones, ma anche aziende come Apple, Google, Microsoft, Ikea e Starbucks hanno un indirizzo in Olanda, che non tassa i redditi degli stranieri. Un articolo pubblicato su Die Welt (tradotto in inglese da Wordlcrunch) indaga il tema. Si scopre che in un singolo edificio ad Amsterdam è indirizzata la posta di oltre 2.670 aziende. Ciò che rende particolarmente attraente per gli artisti il Paese delle biciclette e di Van Gogh, è il fatto che la proprietà intellettuale non è tassata. Chi percepisce alti redditi dalle royalties sulla vendita di album, biglietti di concerti, e qualsiasi opera dell’ingegno che sia replicabile, è molto meglio che operi da qui, così tutti i guadagni gli entreranno in tasca. Un libro di successo in Olanda, scritto da Joost van Kleef, si intitola “Il paradiso fiscale – Perché nessuno qui paga le tasse, tranne te”. Nelle sue pagine l’autore elenca tutti i trucchi con cui le aziende possono evitare di versare montagne di denaro all’erario, nel pieno della legalità.
La sfida, in sintesi, sembra giocarsi tra un insieme di Paesi con condizioni -consolidate e apparentemente inattaccabili- di favore per correntisti e attività commerciali, e un altro insieme di Paesi che sono invitati a cambiare la propria normativa in vista di una maggiore trasparenza ed equità fiscale. E c’è poi l’Unione europea, che in tutto ciò sembra avere un ruolo marginale, e la cui voce continua a contare troppo poco nella discussione. Si firmano accordi, si dichiarano guerre ai paradisi fiscali, ma la vita, per i molti che le tasse le pagano, è sempre più simile a un inferno.