Andare a visitare una mostra a Oxford Street, Londra, richiede un certo impegno, se uno non si trova in zona per altri motivi. Ma vale la pena parlarne, perché proprio in quella via, al 400, si trova il Museum of Everything, museo di arte “non convenzionale” nato nel 2009. Everything? Non convenzionale? In parole povere (perché le opere esposte sono molto più ricche di senso), si tratta di lavori realizzati da artisti con disagi fisici o psichici, per la prima volta riuniti in una galleria e messi a disposizione del grande pubblico -il museo occupa un piano dello store Selfridges, quindi i primi visitatori sono proprio i clienti del negozio. E all’inaugurazione dell’Exhibition #4, di nostri connazionali ce n’erano di sicuro, visto che per la prima volta sono esposte opere di artisti italiani. Che si chiamano Gianluca Pirrotta, Cesare Paltrinieri e Franco Veneri, e sono cresciuti nell’atelier Manolibera, il centro fondato a Carpi dalla cooperativa sociale Nazareno.
Si tratta di artisti che non hanno nulla da invidiare a quelli che normalmente occupano le sale dei musei con le proprie opere. O meglio, rispetto a questi, ciò che manca loro è proprio la visibilità. «Tutti hanno il diritto di fare arte ed essere rispettati come artisti. Eppure queste persone sono escluse da qualsiasi museo o galleria», ha commentato James Brett, l’imprenditore californiano fondatore del Musem. Le opere sono infatti scelte per il loro contenuto artistico, e non come pretesto per dare pubblicità a una storia personale o a un particolare disagio. «Ho visto degli atelier in cui queste persone vengono trattate esattamente come le altre», ha dichiarato Brett in un’intervista all’Observer. «Come mi ha detto uno psicoterapeuta: chi più chi meno, siamo tutti disabili. Il punto è l’arte, e loro sono dei veri artisti». Infelice, in questo senso, la recensione del critico del Guardian, che ha definito la mostra «inappropriata» perché raccoglie «i lavori preoccupanti di individui tormentati». Forse dimentica, per esempio, la vicenda di un certo olandese, che a un certo punto della sua vita, preso da allucinazioni, si tagliò mezzo orecchio. Ma di Van Gogh ci è rimasta prima di tutto l’eredità pittorica, e solo in secondo luogo la pazzia.
I lavori esposti a Oxford Street sono 400 e appartengono ad artisti autodidatti di tutto il mondo, realizzati all’interno di 50 atelier di pittura legati a strutture dedicate a persone con disabilità. La mostra è stata inaugurata il 2 settembre e si potrà visitare fino al 25 ottobre. E per chi non avesse la possibilità di farsi un fine settimana londinese, si può prendere parte alla visita digitale attraverso il sito dedicato. Non sarà la stessa cosa, ma è comunque un’esperienza interessante per farsi un’idea dell’esposizione. Ci piace chiudere con una frase di uno dei protagonisti di questa piccola impresa, Franco Veneri, dotata di quella semplicità che porta all’introspezione, come i suoi quadri: «Io disegno perché è bello, e il bello mi piace».